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| libro secondo | 113 |
rigo allo scavalcar che faceva gli avesse reso servigio di staffiere. Ma aspettò invano: perchè Federigo non si voleva tener da meno neppure per cerimoniale rappresentanza: di che i Cardinali prendendo argomento del cattivo animo suo, se ne fuggirono, lasciando solo il Papa con pochi domestici. Frattanto questi, disceso di cavallo, si accinse ad accogliere il Re; il quale baciatigli i piedi, come si levò a dargli il bacio della pace, fu tenuto in dietro con queste parole dal generoso Pontefice — Fino a che tu non mi renderai quell’onore, che i tuoi ortodossi predecessori Imperadori, prestarono ai miei predecessori Pontefici per riverenza ai santi Pietro e Paolo, non avrai il ricambio di questo bacio — Il Tedesco puntò il capo e rispose, non corrergli questo debito. Ma perchè il tenersi sul niego avrebbegli fatta pericolare la corona imperiale, il dì appresso tenne la staffa al Papa, ed ebbe il bacio della pace[1].
Federigo ed Adriano, fatti amici, procedevano verso Roma, quando dilungati di un venti miglia da Nepi, comparve una grande deputazione del Senato di Roma a Barbarossa. Erano tutti uomini di lettere: introdotti al regale cospetto, così esposero la loro ambasceria «Noi siamo a te destinati oratori dal Senato e dal popolo di Roma: tu ci ascolta benigno, perchè son queste le parole di una città donna del Mondo, di cui sarai fra poco Imperadore e signore. Se tu vieni recatore di pace, abbiti la corona dell’Imperio, che io ti vengo incontro giuliva a presentarti. E per fermo che tu vieni pacifico; non avendo io onde temere guerra da colui tanto lungamente aspettato, a tormi dal collo l’indecente giogo di schiavitù. Deh! fa che tornino le glorie dell’antica etade, e che nelle mani mie, use al freno del Mondo, te Principe, torni e si aduni il reggimento del Mondo. Tu sai come il senno del Senato, e la virtù dell’equestre ordine per lungo e per traverso distendesse un dì la signoria di Roma. Sai come al morir
- ↑ Cardin. Aragon. in Vita Adrian. = Otto Frisig. lib. 2. c. 22.