Rolando era l’Ildebrando del XII secolo. Recavano questi una lettera di Adriano all’Imperadore, e molte preghiere, perchè non volesse contristare la Chiesa. Incominciava il Papa in quella epistola a lamentare la sagrilega ribalderia commessa contro quell’Arcivescovo di Svezia, il quale ancora languiva nella prigione, violentemente dirubato di ogni sua cosa, e minacciato anche di morte dai ladroni, che gli snudarono in faccia le spade. «Lui serenissimo Imperadore alcerto non ignorare cotanta scelleranza recata dalla pubblica fama nelle più remote parti del mondo, e non toccargli l’animo pure un pensiero di giusta vendetta, armato com’era di quella spada, che la divina providenza gli aveva dato a severa punizione dei tristi. Così lui sonnacchioso, ed ignavo, dormire in petto ai colpevoli fino il rimorso dell’enorme sagrilegio, non essendo stata pena, che lo avesse loro svegliato. Non sapere donde la causa di quel suo infingersi o non curare: aver bene ricercato il proprio animo, e non aver trovato scrupolo di coscienza che lo accusasse offensore dell’imperiale decoro; anzi sentir dentro una voce, che gli ricordava lo sviscerato amore che sempre aveva portato a lui come a cristianissimo Principe, ed a carissimo figliuolo. E pur devi, proseguiva, o figliuolo, recarti alla mente, con quanta cordial gioia, è già un anno, ti accogliesse la sacrosanta tua madre la Romana Chiesa, levandoti a cima di dignità, onorandoti dell’imperiale corona, e studiando il come non contrastare in checchessia la tua volontà. Nè per fermo c’incresce punto questo esserci tenuti tanto legati al tuo volere. Anzi sarebbe per noi una ventura, se potessi dalle nostre mani, ove fossero, ricevere anche più grandi beneficî, pel molto bene che ne verrebbe a noi, ed alla Chiesa di Dio. Ora questo tuo chiudere degli occhi su di un tanto delitto, che disonora la Chiesa e l’Impero, conduce a temere, che non sia consiglio di alcun malvagio seminator di zizania, il quale t’abbia invelenito l’animo contro di noi, e la clementissima tua madre la Romana