cale1. Bastò questo a spingere in furore un Principe, che credeva tutto doverglisi curvare innanzi; e comandò al notaio imperiale, che nelle pubbliche scritture ponesse sempre il suo nome innanzi a quel del Papa, e nelle lettere da indirizzarsi a questo, usasse del tu, come ad eguale o inferiore. La qual maniera di procedere verso il Pontefice era irriverente, e contraria alla consuetudine osservata da che furono Imperadori Cristiani. Da queste puerili superbie chiaro appare, che non fosse al mondo cosa che più noiasse l’orgoglio tedesco che il Vicario di Cristo: non potendolo scavalcar coi fatti, voleva colle parole. Venuti così all’aperto i mali umori, pensi il lettore in quali faccende sudassero i cortigiani, i quali sono attorno al principe indisciplinato, come i schifosi insetti attorno alla carogna. Spiavano, e recavano in corte: e non trovando che recare, trasformavano e creavano a loro posta. Non essendo croci e nastri da appendere ai loro petti in quei tempi, avrei forte desiderio di sapere come marchiasse Barbarossa i suoi cagnotti. Opera di costoro mi penso, che fossero le due lettere che hanno in fronte il nome di Adriano e di Federigo, recate dal Baronio negli Annali2, e tolte dal Nauclero, che le disse trovate in certa Badia della Diocesi di Spira. Il Muratori le reputa spurie3. E veramente non è a faticar molto per trovarle tali. Le lettere dei Papi in qualunque tempo scritte hanno tal quale immutabilità di sentenze e di abito, in qualunque tempo, e qualunque la persona cui son dirette, che sembrano tutte fuse di un getto nella stessa forma. Questa, che il lettore può vedere presso il Baronio, non ha del papale pure le sembianze. Gli aulici
- ↑ ....postulationem tuam hac in parte non duximus admittendam, credentes, atque sperantes, quod ex quo nostram super hoc cognoveris voluntatem, tu ipse nostram intentionem, et propositum commendabis. Ib.
- ↑ an. 1154. 5. 6.
- ↑ Annal. Ital. 1154.