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libro terzo 239

dominazione sui mari, e copiosa vena di ricchezze. Pacifici trattati politici e commerciali bastavano a tenere in rispetto gl’Imperadori tedeschi, ed a coprire la Repubblica nella nobile carriera dei conquisti e del commercio. Nel 1130 con que’ trattati erasi acconciata, da non patire turbazioni, coll’Imperadore d’Oriente e di Occidente1.

Ma durante ancora il reggimento del Doge Pietro Polano, che li aveva curati, sorse un nuovo Principe a pungere le gelosie delle Repubbliche, il Normanno Ruggiero di Sicilia. Allora comunanza di timori strinse Venezia a Bizanzio; quella adombrata dal Normanno, che dilatava la signoria su Corfù e le isole vicine, questa minacciata da spedizioni in Levante. I Veneziani combattettero al Normanno per sè e pel Comneno; ma malamente vennero rimeritati da costui, e si accostarono al tedesco Imperadore emulo del bizantino in Italia. Così si locarono tra Federigo, Giuglielmo di Sicilia ed Emmanuele Comneno, che si urtavano per opposizione di politici interessi, nemici temuti, desiderati alleati. Ottennero dal Siciliano grandi franchigie commerciali nel reame di Sicilia, dal Tedesco la pace, ed al Greco volsero le spalle per tenerlo in rispetto.

Così i Veneziani non più molestati dalla Sicilia e da Bizanzio, in molta floridezza del loro commercio, poterono tranquillamente, ai tempi che discorriamo, volgere gli occhi alla travagliata Lombardia. La tirannide imperiale, avvegnachè non toccasse Venezia, incominciava a dispiacerle: era quella una piaga, che rodendo si dilatava e poteva toccare le membra della nobilissima Repubblica, non essendo più rimedio che la rattenesse dal rodere. Era ormai tempo di por mano al ferro. Riconosciuto vero Papa Alessandro (lo che solo bastava a dichiararsi nemico aperto del Barbarossa) inchinatasi al Comneno per fomentargli la mala contentezza, che gli arrecavano i conquisti del Tedesco, Venezia col senno proprio e coll’oro del Greco si tenne

  1. Andrea Danduli lib. IX.