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38 della lega lombarda

Non credo che Carlo M. pensasse assoggettarsi i Pontefici, ed uccidere la libertà della Chiesa. Egli era un buon Cristiano, non volendo tener l’occhio a qualche sua domestica imperfezioncella adamitica, e per questo tutto zelo pel migliore della Chiesa. Trovo che senza malizia facesse già qualche cosa, che non doveva fare. A mo’ d’esempio, deputare Angelberto Abate ad ammonire Papa Leone de omni honestate vitae suae, et praecipue de observatione Canonum, de pia S. Dei Ecclesiae gubernatione, fu una pietosa impertinenza. Ma Leone zittiva: aveva mestieri di mano forte; sapeva essere quello tutto zelo, e non maligna intrusione. E ciò quando Carlo non era ancora Imperadore incoronato. Quel che il Papa credette imporgli come legge, cioè di proteggere e tutelare la Chiesa, egli e i suoi successori tennero come diritto: ed ognun conosce cosa sia un protettore, che ti vuol dare di mano per forza.

L’Imperadore dunque aveva la via ad entrare nella Chiesa, per proteggerla. Alla legge di protezione si aggiunse il diritto feudale. Pipino aveva donato a S. Pietro l’Esarcato e la Pentapoli, Carlo confermò il donato; ma da questo non ritrasse mai la mano. Egli e Pipino furono sempre Patrizi di Roma: che volesse intendersi per questo Patriziato, non saprei dire; e sebbene molti, e di grande autorità, si sforzino allontanare da quello ogni idea di signoria, pure non sembra, che il Patriziato di Roma sia stato un semplice onore, o un protettorato. Così avverte il Muratori con buon suffragio di documenti1. Ora se prima di essere Imperadore Carlo già teneva sotto il Papa per l’Esarcato e la Pentapoli, più sotto sel mise, ingrossato per la dignità dell’Impero; il quale in que’ tempi può diffinirsi una monarchia consacrata dal diritto divino, che non determinata da alcuna ragione umana, per diretto o per indiretto dominio tutto ingoiava. Ed avvenne una rapidissima ordinazione gerarchica

  1. Ann. Ital. 789.