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12 Antonio Olivieri

dal mercato della moneta “buona” si verificava quando due monete dello stesso valore nominale avevano un valore reale leggermente diseguale, vale a dire una differenza di valore reale modesta ma apprezzabile dagli operatori economici1. Di tale meccanismo ha offerto un esempio Pierre Toubert alcuni decenni or sono, studiando la circolazione monetaria a Roma e nel Lazio nel trentennio che va dal 1180 circa agli anni intorno al 1210, caratterizzata dalla concorrenza di due monete molto simili per tipo, peso e contenuto di fino2.


2. Vercelli e il Vercellese tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII

Come si è già visto, nel 1095 è attestata nel Vercellese la presenza di moneta del Poitou: nell’ottobre di quell’anno Germano e sua madre Gariunga vendettero a due fratelli una porzione di arativo e una di bosco in Caresana, località poco a sud di Vercelli, sulla riva destra del Sesia, al prezzo di venti


    segue) (p. 200). Il passo di Schumpeter cui Mundell si riferisce è – il «not quite correct» a parte – una ottima definizione della legge di Gresham: «se monete che contengono metallo di valore differente hanno la stessa capacità liberatoria legale, allora quelle “cattive” [nell’orig. inglese «the ‘cheapest’ ones»] saranno adoperate per i pagamenti mentre quelle buone tenderanno a sparire dalla circolazione: ovvero, per usare la frase solita ma non del tutto esatta, la moneta cattiva scaccia la buona» (J.A. Schumpeter, Storia dell’analisi economica, I, Torino 1990 – ed. or. Oxford-New York 1954 –, p. 419). Per gli scopi che qui ci si propone si può trascurare il fatto, illustrato da Robert Mundell, che sul piano teorico la legge di Gresham si attiva soltanto se la situazione della domanda e offerta di moneta è squilibrata. Aggiungo che nello stesso volume sopra citato (I ritrovamenti monetali e la Legge di Gresham) l’articolo di A. Saccocci, Il ruolo della cosiddetta legge di Gresham nello sviluppo monetario dell’Italia medievale, pp. 155-175 è concepito sulla base di criteri completamente differenti da quelli qui richiamati.

  1. Modesta nei termini in cui poteva esserlo in un’epoca di sviluppo tecnologico e scientifico quale era quella medievale, nella quale le differenze ponderali apprezzabili non si misuravano in termini di centesimi o, meno ancora, millesimi: cfr. C.M. Cipolla, Il governo della moneta a Firenze e a Milano nei secoli XIV-XVI, Bologna 1990, pp. 7 sg., ma soprattutto C.M. Cipolla, Argento tedesco e monete genovesi alla fine del Quattrocento, in C.M. Cipolla, Le tre rivoluzioni e altri saggi di storia economica e sociale, Bologna 1989, pp. 117-123 (l’edizione originale del saggio è del 1956).
  2. Tali due monete erano costituite da un circolante oltralpino, il denaro provisino, che aveva conquistato la fascia superiore degli scambi economici laziali a partire dagli anni cinquanta del XII secolo, e il cosiddetto provisino del Senato, coniato a stretta imitazione del precedente da una officina monetaria locale, la zecca del Senato romano, che aveva inaugurato le sue attività dopo quasi due secoli di assenza dal mercato laziale di una moneta locale. Benché il vecchio provisino di Champagne avesse un valore intrinseco solo leggermente superiore al provisino del Senato (la differenza si aggirava intorno al 4% circa), esso venne ampiamente sopravvalutato sul mercato, divenendo assai raro (per tesaurizzazione) per poi sparire: cfr. Toubert, Les structures du Latium médieval cit., pp. 592-600 (dove viene anche affrontata la questione fondamentale del «bi-métallisme argent»), ripreso in P. Toubert, Une de premières vérifications de la loi de Gresham: la circulation monétaire dans l’État pontifical vers 1200, in P. Toubert, Études sur l’Italie médiévale (IXe-XIVe s.), London 1976, III. Negli stessi anni a Venezia – sembrerebbe a partire dal 1194, al tempo del doge Enrico Dandolo, o poco più tardi – la coniazione del grosso e la di poco successiva, e conseguente, cessazione della coniazione del denaro d’argento da parte della stessa zecca veneziana, consentono già di osservare, per le complesse ragioni spiegate da Luise Buenger Robbert, un tipico esempio di esclusione dal mercato di una moneta “buona” in un regime di cambio imposto: L. Buenger Robbert, The Venetian Money Market, 1150 to 1229, in «Studi veneziani», 13 (1971), pp. 3 94, in particolare pp. 38 46, 54 sg., 71; cfr. anche L.

Reti Medievali Rivista, 12, 1 (2011) <http://rivista.retimedievali.it>