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6 Antonio Olivieri

zione monetaria nel periodo considerato, poi in un paragrafo conclusivo proverò a tirare le fila del discorso.

Ora, prima di entrare nel vivo della ricerca, occorre spendere alcune parole sia intorno alla costituzione del campo di indagine sia sui problemi di metodo connessi con le ricerche di storia della moneta medievale. Riguardo alla delimitazione del campo di indagine sono state compiute scelte nette, decidendo, in primo luogo, di privilegiare le testimonianze offerte dalle fonti d’archivio, vale a dire soprattutto, anche se non esclusivamente, le carte notarili; in secondo luogo si è operato un taglio territoriale e cronologico connesso, per l’essenziale, con l’esigenza pratica di operare in un quadro abbastanza vasto da consentire sia il confronto tra un gruppo significativo di situazioni diverse sia l’osservazione di sviluppi diacronici di respiro più che secolare. Allo stesso tempo, però, nell’operare le scelte cui si è appena accennato, si è badato a far sì che la vastità del materiale da indagare non eccedesse i limiti imposti dall’esigenza di un approccio analitico alle fonti.

Queste ultime, d’altra parte, per la loro natura e per i caratteri della tradizione archivistica subalpina, costituiscono di per sé un quadro condizionante sia sotto un profilo cronologico sia dal punto di vista spaziale. Mentre per i secoli IX e X gli unici aggregati documentari quantitativamente significativi sono costituiti dalle carte astigiane e novaresi, per il periodo successivo il quadro regionale, che si può deliberatamente far coincidere con gli spazi geografico-amministrativi dell’attuale Piemonte1, si presenta fortemente diseguale per quel che riguarda le fonti documentarie disponibili, soprattutto quando le si esamini dal punto di vista che qui si assume. Se infatti è vero che nell’ambito regionale è dato riscontrare per il periodo prescelto la presenza di vaste aree nettamente sottodocumentate, quello che più importa è che nella documentazione in largo senso privata le carte attestanti passaggi di denaro all’atto della stipula (il prezzo nelle compravendite, l’entratura in certe con cessioni di beni immobili, ecc.) o l’imposizione di pagamenti unilaterali differiti, periodici o meno (censi e canoni, restituzioni, penalità, ecc.)2, non sempre sono presenti in quantità significative nell’XI secolo e persino nei decenni immediatamente successivi3. È il caso di tutto il Piemonte meridio-

  1. Cfr. Premessa degli autori in Piemonte medievale. Forme del potere e della società. Studi per Giovanni Tabacco, Torino 1985, pp. XI-XV.
  2. Per questo si veda C.M. Cipolla, Moneta e civiltà mediterranea, Venezia 1957 (traduzione italiana, con modifiche e aggiunte, dell’edizione americana del 1953), pp. 13 sgg. che rimanda alla chiara distinzione operata da Hans von Werveke nella sua recensione al libro di Alfons Dopsch, Naturalwirtschaft und Geldwirtschaft in der Weltgeschichte uscito a Vienna nel 1930, in «Annales d’histoire économique et sociale», 3 (1931), pp. 428-435.
  3. Dal campo di ricerca restano esclusi quindi tutti i documenti in cui la moneta non è menzionata o è menzionata soltanto nelle fomulazioni cristallizzate delle clausole penali altomedievali (diverso è il discorso, come si vedrà, per le penali a partire all’incirca dalla fine dell’XI secolo), che spesso non menzionano neppure moneta vera e propria ma quantità di metallo non monetato («multa quod est pena auro obtimo uncias tres, argenti ponderas sex»: per fare un esempio tra i tanti possibili: BSSS 78, p. 92, doc. 59 del 966). Resteranno esclusi quindi i diplomi imperiali, le donazioni e le permute, che sono anche i documenti più numerosi per buona parte dell’XI secolo.

Reti Medievali Rivista, 12, 1 (2011) <http://rivista.retimedievali.it>