Pagina:Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani I.djvu/86

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guravasi bene spesso, e ad alta voce o una memorabile sconfitta delle sue truppe, o una pestilenza, e carestia, ovvero terremoti, ed incendj1. Parimenti null’altro tanto lo dilettava quanto il poter far nascere sanguinosi tumulti fra il popolo, o micidiali attruppamenti, o improvvise rovine di edifizj, che togliessero a migliaja di persone la salute, e la vita. Aizzava di buon grado gli uni contro gli altri i Nobili ed i Plebei nell’Anfiteatro2, chiudeva i granaj, ed annunziava al popolo la carestia; costrinse ad arrischiare e perder la vita coloro che in tempo di sua infermità avevano fatto voto di voler morire per lui; gettar faceva alle bestie feroci i prigionieri non solo, ma altresì gli innocenti vecchj, ed i cagionosi, onde in tal modo risparmiar la carne3, che diversamente sarebbesi dovuta comprare per le medesime; e in ultimo dopo aver invitato tutto il popolo Romano ad osservare quel maraviglioso ponte lungo tre mila seicento passi da Lui costruito sopra un seno di mare presso Baja, lo fece spietatamente andar in rovina allorquando ingombro trovavasi di curiosi4. Prima di

  1. Svet. c. 31.
  2. ib. c. 26 — 33.
  3. ib. et Dio. Cass. Lib. 59, c. 10, p. 913. Egli fece tagliar la lingua a quelli infelici che ebbero una tal disgrazia, affinchè non potesser gridare.
  4. ib. Svet. Dione non dice nulla dell’inique disposizioni che furono da lui date per la rovina