Pagina:Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani II.djvu/138

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stino dei Re, e delle Nazioni; e perciò colla maestà, e col sapremo potere del popolo disparvero ancora le eterne dispute dei Plebei, e dei Grandi, quelle di quest’ultimi tra di loro, e l’emulazione dì tutti i Giovani, ed attempati pieni di speranza, e d’orgoglio di superarsi l’un l’altro. L’eloquenza non rimase più allora l’arbitra delle adunanze popolari, la maestra dei Giudici, e la guida del Senato, e del Popolo. Da lei non ottennero più i suoi adoratori, come nei tempi della libertà, onore, fama, luminosi impieghi, potere, e ricchezze, ma pericoli e morte ogni qual volta i medesimi non cercarono di renderla schiava del Despotismo, e nemica dell’innocenza, e della virtù. Essa finì inoltre di essere il più sicuro scudo contro i nemici, e le accuse, e l’arma più forte onde affrontare, ed abbattere i contradittori, e non fu quindi più necessaria per conservarsi le relazioni delle grandi famiglie, e far acquisto di nuovi Clienti, sebbene a dire il vero nei tempi della Repubblica si fosse piuttosto sofferta la morte che l’infamia di perdere per pigrizia le Clientele ereditate dai proprj antenati, e di ricorrere all’eloquenza, ed alla protezione di altre1. Se sotto gli Imperatori si parlava, non parlavasi però rapporto al danno, e all’utilità della

  1. II. 20. Cic. de Off.