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Pagina:Storia della geografia (Luigi Hugues) - 2.djvu/29

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sorte, che sotto forma di un compendio molto scarso e disuguale fattone dal grammatico Ermolao, di poco posteriore a Stefano.

7. La Geografia patristica. — Mentre la sfericità della Terra e la esistenza degli antipodi erano concetti divulgatissimi fra gli antichi, anche tra i fautori del sistema geocentrico, senza che alcune poche obbiezioni di poeti e di filosofi valessero a scemare la universalità dell’idea[1], lo stesso non è per i Padri della Chiesa, nei quali, secondo la interpretazione letterale della Sacra Scrittura e delle tradizioni bibliche, prevale il concetto del cielo emisferico e della terra pianeggiante. Pare tuttavia che la sfericità della Terra fosse ammessa da Clemente Alessandrino, da Origene, da Sant’Ambrogio e da San Basilio[2].

Lattanzio, africano (m. nel 326), combatte strenuamente la teoria degli antipodi. «È egli possibile che si trovi ancora persona tanto sciocca da credere esservi uomini che camminano coi piedi in aria e colla testa all’ingiù? che gli alberi e le frutta crescano colle radici all’inverso? che la pioggia, la neve, la grandine ascendano in luogo di cadere? E mentre si considerano i giardini pensili tra le sette meraviglie del mondo, si possono ritenere e i campi e i mari e le città e le montagne come sospesi nell’aria?»[3]. Secondo il medesimo scrittore, quelli che pensano il contrario parlano per gioco, e a bella posta prendono a sostenere delle falsità, onde esercitare il loro ingegno e farne pompa malvagiamente[4].

Sant’Agostino (354-430) dice, che non è ragionevole cosa quella di credere agli antipodi, ma si dimostra assai più rimesso di Lattanzio nel combattere questa teoria: «Coloro che ammettono la esistenza degli antipodi, egli dice, non affermano


  1. Marinelli, La Geografia e i Padri della Chiesa, pag. 31.
  2. Günther, Die kosmographischen Anschaungen des Mittelalters, nel periodico Deutsche Rundschau für Geographie und Statistik, IV, pag. 253 e 313. Marinelli, Mem. cit., pag. 31.
  3. Lactantius, Divinarum Institutionum, lib. III, cap. 24.
  4. Idem, loc. cit.