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Parte III. Libro III. 163


che precedenti. Cadde finalmente l'anno 607 Cartagine, e col cader di Cartagine parve che il mondo tutto cadesse a pie' di Roma. Niuna potenza si tenne più contro la vittoriosa repubblica: le nazioni pressochè tutte furon costrette a riconoscerla a lor signora; e quelle si riputaron felici che la lor servitù poterono apparentemente nascondere coll'onorevole titolo di alleanza. Al tempo medesimo un nuovo ardor per gli studi si accese in cuore a' Romani e a maggior perfezione furon da essi condotte le arti e le scienze. Ciò si dovette in gran parte alla conquista della Grecia, che seguì dappresso la terza guerra cartaginese e ingegnosamente disse perciò Orazio:

Græcia capta ferum victorem cepit, et artes
Intulit agresti Latio (l. 2, Ep. 1) (51).

Ma in gran parte ancor si dovette a quel più tranquillo riposo, di cui godendo i Romani dopo la rovina dell'impero cartaginese e delle altre più temute nazioni, 51 Il passo di Orazio da me qui recato: Græcia capta ferum victorem cepit, ec. Ha fatto credere ad alcuni, che solo dopo la conquista della Grecia cominciassero i Romani a conoscere e coltivare le scienze e le arti. Ciò che abbiam detto nel precedente libro, ci fa abbastanza conoscere che assai prima di questo tempo avean essi preso ad amarle. Le parole dunque di Orazio debbono intendersi di quel fervore tanto maggiore con cui volsero ad esse i Romani, quando la conquista della Grecia rendette loro tanto più agevole il commercio con quelle colte nazioni. poterono più agiatamente rivolgersi alle scienze. "Dappoichè, dice Tullio (De Invent. l. 2, n. 14), l'impero di Roma fu steso intorno per ogni parte, e una durevol pace permise il vivere tranquillamente, non vi ebbe quasi alcuno tra' giovani bramosi di lode che con tutto l'impegno non si volgesse all'eloquenza". Questa semplice sposizione del fatto basta, per mio avviso, a confutare il paradosso del celebre moderno filosofo Gian Jacopo Rousseau il quale ha preteso di persuaderci che il coltivamento delle scienze cagionata abbia la rovina così di altri regni, come singolarmente del romano impero (52) Gli studj de'


(2) De Invent. lib. IL n. 14.

Il passo di Orazio da me qui recato: Græcia capta ferum victorem cepit, ec. Ha fatto credere ad alcuni, che solo dopo la conquista della Grecia cominciassero i Romani a conoscere e coltivare le scienze e le arti. Ciò che abbiam detto nel precedente libro, ci fa abbastanza conoscere che assai prima di questo tempo avean essi preso ad amarle. Le parole dunque di Orazio debbono intendersi di quel fervore tanto maggiore con cui volsero ad esse i Romani, quando la conquista della Grecia rendette loro tanto più agevole il commercio con quelle colte nazioni.

52 Il sig. Landi osserva (tom. 1, p. 336) che questo mio ragionamento prova bensì che il potere è favorevole alle lettere, ma non prova che le lettere sian favorevoli al potere, e che confutare l'opinione di m. Rousseau, ch'egli stesso però chiama paradosso, converrebbe provare che la nascita, il progresso e la decadenza delle lettere avessero preceduto il progresso e la decadenza del potere. A me par nondimeno che la mia riflessione sia opportuna a combattere l'opinione del filosofo ginevrino. Se la distruzion dello Stato come afferma egli, è effetto degli studj, convien dire che questi abbiano una cotal intrinseca loro proprietà che alla pubblica felicità si opponga. Or se veggiamo crescere, per così dire, a ugual passo il fervor negli studj e la rapidità delle conquiste, egli è evidente che quelli non portan seco il fatal germe distruttore delle repubbliche. E se veggiam poscia gli studj insieme e il potere venire scemando ugualmente, egli è manifesto che non agli studj soli, ma a qualche comune origine deesi attribuire il decadimento di amendue. del decadimento de' Romani d