Pagina:Storia della letteratura italiana - Tomo I.djvu/248

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Parte III. Libro III. 209

nio Silano e Silio Nerva, che furon Consoli l’anno 780, e dice, che aveva ella per vent’anni sostenuto l’esilio: Per idem tempus Julia mortem obiit; quam neptem Augustus convictam adulterii damnaverat, projeceratque in insulam Trimerum haud procul Apulis litoribus. Illic viginti annis exilium toleravit157. Andiamo innanzi. Ovidio fu rilegato, perché vide un delitto; e il delitto era tale, che non voleva rammentarlo ad Augusto, per non rinnovargliene il dolore. Qual delitto può mai esser questo, se non delitto infame di persona, che per istretto vincolo di parentela appartenga ad Augusto, qual era appunto la sua nipote Giulia? La similitudine di Atteone, che abbiam veduto 125 recarsi da Ovidio, giova anch’essa a comprovare la mia opinione. Ovidio dice, che la prima origine della sua sventura era stata il voler penetrare nella famigliarità de’ Grandi; perché l’amicizia, di cui Giulia forse onoravalo, fu quella, che lo fece ardito a entrare, ove la sorprese in delitto. Confessa, che fu colpa la sua, perché certo egli fu colpevole in voler appagare la sua curiosità, singolarmente se a tal fine avesse usato o di violenza o d’inganno; ma nega di esser reo di delitto, e si protesta innocente, perché niun misfatto con Giulia egli avea commesso; ove conviene osservare, che non avrebbe già egli usato questo parlar con Augusto, se questi avesse saputo, che Ovidio avea veramente commesso, o almen tentato di commettere con lei un delitto. Aggiugne, che la sua colpa fu mista di errore e di timore; di errore, perché lasciossi spingere a penetrare più oltre, che non convenivagli; di timore, perché non ebbe coraggio di scoprir la cosa ad Augusto; il che se avesse egli fatto, forse ne avrebbe ottenuto il perdono. Laddove avendone Augusto saputo altronde, e avendo pur risaputo, che Ovidio era stato spettator del delitto, si volle toglier dinanzi un uomo, che aveva ardito di essere testimonio dell’infamia di sua nipote, e da cui poteva temere, ch’essa non venisse un dì pubblicata. Confessa finalmente Ovidio di aver meritato lo sdegno di Augusto, il che è chiaro nella nostra opinione; e che la pena avutane era ancora minor del suo fallo; perciocché in fatti pel grande sdegno, che tali cose destavano nel