Pagina:Storia della letteratura italiana - Tomo I.djvu/342

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Ma quali erano le sentenze, che a Cicerone sembravan probabili e verisimili? L’esistenza della Divinità, l’immortalità dell’anima, la provvidenza sovrana, ammettevansi elleno da Cicerone come probabili, o rigettavansi come improbabili? Questo è ciò appunto, che non è sì agevole a diffinire; e se riflettiamo a diversi passi delle sue opere, pare che Tullio stesso non avrebbe potuto determinare, che cosa ei si credesse. Di fatto altri pongon Cicerone tra gli Atei, e trovano ne’ suoi libri tai sentimenti, che spirano il più puro e il più libero Ateismo. Altri il ripongono tra’ più zelanti difenditori della Religion naturale; ed essi ancora confermano l’opinion loro colle parole stesse di Cicerone. A spiegare una sì grande contrarietà di sentimenti e di espressioni, convien riflettere a ciò, che dice S. Agostino, essere stato costume degli Accademici di non iscoprire giammai quali fossero le opinioni, e cui essi inclinassero, se non ad alcuno de’ più 178 familiari amici, quando fossero insieme giunti alla vecchiezza. Mos fuit Academicis occultandi sententiam suam, nec eam cuiquam, nisi qui secum ad senectutem usque vixissent, aperiendi21. Non è dunque a stupire, se Cicerone nelle sue Filosofiche opere altro non faccia comunemente, che disputare e produr le ragioni delle diverse sentenze, senza decidere cosa alcuna; e non è pure a stupire, che parli in diverse occasioni diversamente, e che sembri ora ammettere la Divinità, ora negarla, e che in un luogo e’ si mostri inclinato a pensare, che l’anima viva ancor dopo morte, nell’altro si mostri persuaso, che colla morte ogni cosa abbia fine. Di queste opposte opinioni niuna secondo i principj della sua Setta egli stimava certa; e se una gli pareva più verisimil dell’altra, non ardiva egli, o non voleva, secondo gli stessi principj, dichiarare apertamente il suo parere. Perciò secondo le circostanze diverse ei parla diversamente, e se alcuna cosa afferma, afferma ciò, che sapeva piacere a quelli, a cui i suoi libri o le sue lettere erano indirizzate. Così veggiamo, che le massime Epicuree o le Stoiche egli sembra adottare talvolta, quando scrive a Stoici o ad Epicurei.