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ratore. Là il Papato ebbe l’ultimo suo gran giorno, l’ultimo sogno di monarchia universale, rotto per sempre dallo schiaffo di Anagni.

Il giubileo ci dà una immagine di quello che dovea essere la letteratura nel secolo decimoquarto. Ebbe dal secolo antecedente la sua materia, i suoi istrumenti e il suo concetto, del quale il giubileo fu una così splendida manifestazione. Ma quel concetto, rimaso nella sua astrazione intellettuale e allegorica, con così scarsi inizii di rappresentazione ne’ misteri e nelle visioni, ancora senza nome altro che di Beatrice, breve apparizione, svaporata subito nelle astrattezze della scienza, ebbe nel trecento la sua vita, e venne a perfetta individuazione e formazione: questo fu il carattere e la gloria di quel secolo.

L’uomo, che dovea dare il suo nome al secolo, avea già trentatrè anni, avea creato Beatrice, e volgea nella mente non so che più ardito, che dovesse abbracciare tutta l’umanità. Tenzonava nel suo capo il filosofo e il poeta: ci era il Convito e ci era la Commedia. Ma per apprezzare più degnamente quella vasta sintesi che ne uscì, è bene preceda l’analisi, studiando la fisonomia del secolo negl’ingegni più modesti che non conobbero di tutto quel mondo, se non questa o quella parte.

E c’incontriamo dapprima nella letteratura claustrale, ascetica, mistica, religiosa, continuazione in prosa di Fra Jacopone, ma in una prosa piena di poesia. Domenico Cavalca, l’Autore de’ Fioretti, Guido da Pisa, Bartolomeo da San Concordio, Jacopo Passavanti, Giovanni dalle Celle non sono scrittori astratti e impersonali, come quelli del secolo innanzi, ma, anche volgarizzando, senti che quegli uomini prendono viva partecipazione a quello che scrivono, e vivono là dentro, e ci lasciano l’impronta del loro carattere e della loro fisonomia intellettuale e morale. Usciamo dalle astrattezze de’ trattati e delle raccolte sotto nome di Fiori, Giardini, e Tesori, ed entriamo

 De Sanctis ― Lett. Ital. Vol. I 8