Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/132

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adulta, spedita, calda, immaginosa, spesso colorita, con tutto l’andare di lingua viva e parlata, già nel suo fiore.

I romanzi operavano sul popolo non meno vivamente che la letteratura spirituale. Nella sua immaginazione si confondea il cavaliere di Cristo e il Cavaliere di Carlomagno, e con la stessa avidità leggea la vita di Alessio e i fatti di Enea, e gli amori di Lancillotto e Ginevra. Caterina trae dalla cavalleria molte sue immagini. Chiama Cristo un dolce cavaliere, cavaliere dolcemente armato; chiama la Redenzione un torneo della morte colla vita. Ma la letteratura cavalleresca rimase stazionaria e non produsse alcun lavoro originale. Le traduzioni sono fatte senza intenzione seria, in prosa scarna e trascurata, posto il diletto nel maraviglioso de’ fatti. Agli stessi traduttori è materia frivola, buona per passare il tempo, e non vi partecipano, non sentono colà dentro il loro mondo e la loro vita.

Accanto a questo mondo dello spirito e dell’immaginazione c’era il mondo reale, il mondo della carne o della vita terrena, come si dicea, che si potea maledire, ma non uccidere. Era la cronaca, memoria dì per dì de’ fatti che succedevano, inanime come il dizionario, o come la lista delle spese. Quelli che ne scrivevano con qualche intenzione artistica, la dettavano in latino e la chiamavano Storia. Latini erano anche i trattati scientifici e i lavori propriamente d’arte. Quella letteratura spirituale e cavalleresca rimanea circoscritta al popolo ed era tenuta in poco conto da’ dotti. Costoro spregiavano il volgare, come buono solo a dir d’amore e di cose frivole, e le gravi faccende della vita le trattavano in latino. Di questi illustre per ingegno, per coltura e per patriottismo fu Albertino Mussato, coronato poeta in Padova, sua patria. Abbiamo di lui molte opere, alcune ancora inedite. Scrisse in quattordici libri De gestis Henrici VII Caesaris, e anche De gestis Italicorum posi mortem