Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/352

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passiva e inerte in mano al prete di Varlungo, a donno Gianni, a frate Rinaldo e a frate Cipolla. Sicchè per la gente istruita quel mondo divenne il mondo del volgo, o de’ meccanici, e saperne ridere era segno di coltura: ne ridevano anche i chierici che volevan esser tenuti uomini colti. Così coesistevano l’una accanto all’altra due società distinte, senza troppo molestarsi. La libertà del pensiero era negata; vietato mettere in dubbio la dottrina astratta, ma quanto alla pratica era un altro affare, si viveva e si lasciava vivere trastullandosi tutti e sollazzandosi nel nome di Dio e di Maria. Gli stessi predicatori ne davano esempio, cercando di divertire il pubblico con motti e ciance ed iscede, cosa che al buon Dante muoveva lo stomaco, e che faceva ridere il Boccaccio scrivendo nella conclusione del suo Novelliere: «Se le prediche de’ frati per rimorder delle lor colpe gli uomini il più oggi piene di motti e di ciance e di scede si veggono, estimai che quegli medesimi non stesser male nelle mie novelle, scritte per cacciar la malinconia delle femmine.» L’indignazione di Dante era caduta: sopravvenne il riso, come di cose oramai comuni. Non si move la bile se non in quelli che credono e veggono profanata la loro credenza ne’ fatti, è la bile de’ santi e di tutti gli uomini di coscienza. Ma quella colta società, vuota di senso religioso e morale, non era disposta a guastarsi la bile per i difetti degli uomini. Le sfacciate donne fiorentine qui allettano e lasciviano e fanno quadri viventi, come si dice e si fa oggidì. Il traffico delle cose sacre, occasione allo scisma della credente Germania, e che Dante nella nobile ira sua chiama adulterio, qui è materia di amabili frizzi, senza fiele e senza malizia. La confessione suggerisce l’idea di equivoci molto ridicoli, ne’ quali sono i laici e le laiche, che la fanno a’ preti, uomini tondi e grossi, come si mostra nel confessore di ser Ciappelletto, e nel frate Bestia, carattere