Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/463

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un professore nuovo, e lo vedevano nicchiare, gli dicevano subito: Cosa pensate dell’anima?

Quando il materialismo apparve, la società era già materializzata. Il materialismo non fu il principio, fu il risultato. Fino a quel punto il dogma era stato sempre la base della filosofia e il suo passaporto. Era un sottinteso che la ragione non poteva contraddire alla fede, e quando contraddizione appariva, si cercava il compromesso, la conciliazione. Così poterono lungamente vivere insieme Cristo e Platone, Dio e Giove: tutta la coltura era unificata nell’arte e nel pensiero, e non si cercava con quanta logica e coesione e con quanta buona fede. In nome della coltura si paganizzavano le forme cattoliche anche da’ più pii, come ne’ loro poemi sacri facevano il Sannazzaro e il Vida, si paganizzò anche san Pietro, e paganizzava anche Leone X. Tutto questo era arte, era civiltà, e non solo non era impedito, anzi promosso e incoraggiato; farvi contro non si poteva senza aver taccia di barbaro e incolto. E si tollerava pure Pasquino, voglio dire quella buffoneria universale le cui maggiori spese le facevano preti, frati, vescovi e cardinali.

In quella corruzione così vasta, soprattutto nel Clero era il caso di dire: petimusque damusque vicissim; e tutti ridevano, e primi i beffati. Di cose di religione non si parlava, e quando era il caso le si faceva di berretto, se ne osservavano le forme e il linguaggio per l’antica abitudine senza darvi alcuna importanza. Sotto il manto dell’indifferenza ci era la negazione. In quel vuoto immenso non rimaneva altro in piedi, che la coltura come coltura e l’arte come arte. Ed era appunto la negazione che appariva nell’arte sotto forma comica, e formava il suo contenuto. Che cosa era quell’arte? Era il ritratto dello spirito italiano. Era la contemplazione di una forma perfetta nella indifferenza o negazione del contenuto. La società vagheggiava nell’arte sè stessa.