Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/106

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che ha gittato giù i conventi ed ha rovinato dalla radice non solo il sistema ascetico o contemplativo, ma anche il sistema feudale, fondato su questo fatto, che l’ozio de’ pochi vivea del lavoro de’ molti. Un uomo che con una sagacia pari alla franchezza nota tutte le caue della decadenza italiana, potea ben dire, accennando a Savonarola: «ond’è che a Carlo, Re di Francia, fu lecito a pigliare Italia col gesso, e chi diceva come di questo erano cagione i peccati nostri, diceva il vero; ma non erano già quelli che credeva, ma questi che ho narrati». Gli oziosi sono fatalisti. Spiegano tutto con la Fortuna. Anche allora de’ mali d’Italia accagionavano la mala sorte. Machiavelli scrive: «La Fortuna dimostra la sua potenza, dove non è ordinata virtù a resisterle, e quivi volta i suoi impeti, dove la sa che non sono fatti gli argini e i ripari a tenerla. E se voi considerate l’Italia ch’è la sede di queste variazioni e quello che ha dato loro il moto, vedrete essere una campagna senza argini e senza ripari.»


Essendo l’Italia in quella corruttela, Machiavelli invoca un redentore, un Principe italiano, che come Teseo o Ciro o Mosè o Romolo la riordini, persuaso che a riordinare uno Stato si richieda l’opera di un solo, a governarlo l’opera di tutti. Ne’ grandi pericoli i romani nominavano un dittatore: nell’estremo della corruzione Machiavelli non vede altro scampo che nella dittatura. «Cercando un principe la gloria del mondo, dovrebbe desiderare di possedere una città corrotta non per guastarla in tutto, come Cesare, ma per riordinarla, come Romolo». Di Cesare scrive un giudizio originale rimasto celebre. «Nè vi è alcuno che s’inganni per la gloria di Cesare, sentendolo massime lodare dagli scrittori; perchè questi che lo lodano sono corrotti dalla fortuna. Ma chi vuol conoscere quello che gli scrittori liberi ne direbbono, vegga quello che dicono di Catilina. E tanto