Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/189

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diviene arte. Al contrario precise, anzi pittoresche sono le immagini di Dudone, di Lesbino, de’ figli di Latino, di Gildippe ed Odoardo, dove le note caratteristiche sono la grazia e la dolcezza. Così è pure nella morte di Clorinda, ispirazione petrarchesca con qualche reminiscenza di Dante. Clorinda è Beatrice nel punto che parea dire: Io sono in pace; ma è una Beatrice spogliata de’ terrori e degli splendori della sua divinità. Il sole non si oscura, la terra non trema, e gli angioli non scendono come pioggia di manna. La religione del Tasso è timida, ci è innanzi a lui il ghigno del secolo, mal dissimulato sotto l’occhio dell’inquisitore. L’elemento religioso era ammesso come macchia poetica, a quel modo che la mitologia: tale è l’Angiolo di Tortosa, e Plutone, messi insieme. È una macchina insipida in tutt’i nostri epici, perchè convenzionale, e non meditata nelle sue profondità. Gli angioli del Tasso sono luoghi comuni, e il suo Plutone, se guadagna come scultura, è superficialissimo come spirito, e parla come un maestro di rettorica. La parte attiva e interessante è affidata alla magia, ancora in voga a quel tempo, dalla quale il Tasso trae tutto il suo maraviglioso. La morte di Clorinda non è una trasfigurazione, come quella di Beatrice, e si accosta al carattere elegiaco e malinconico di quella di Laura, nel cui bel volto Morte bella parea. Qui tutto è preciso e percettibile, il plastico è fuso col sentimentale, il riposo idillico col patetico, e l’effetto è un raccoglimento muto e solenne di una pietà senz’accento, come suona in questa immagine nel suo fantastico così umana e vera e semplice, perchè rispondente alle reali impressioni e parvenze di un’anima addolorata:

.     .     .     .     In lei converso
Sembra per la pietate il Cielo e il Sole.

 De Sanctis ― Lett. Ital. Vol. II 12