Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/197

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pressione nell’immensità dell’oceano, dove il Tasso trova alcune belle ispirazioni. Ma alla fine del viaggio, toccando le isole Felici, soggiorno di Armida, ricasca nel solito quadro, e vi pone l’ultima mano. Qui vedi raccolto come in un bel mazzetto tutto ciò che di vezzoso e di leggiadro avea trovato l’immaginazione poetica da Omero all’Ariosto; ma è nell’ultima sua forma, raffinata o artificiosa. Come Dante crea una natura oltremondana, il Tasso crea una natura oltrenaturale, una natura incantata, il paradiso della voluttà. Non è la natura colta nell’immediato della sua esistenza, ma natura artefatta, lavorata e trasformata da un artista, che ha fini e mezzi suoi, e l’artista è Armida, maestra di vezzi e di artificii, che crea intorno a sè una natura meretricia e voluttuosa. Questa forma testamentaria della natura classica è portata a un alto grado di perfezione da un poeta, che a un sentimento musicale sviluppatissimo aggiungeva tutte le finezze dello spirito.

Abbiamo anche una selva incantata, cioè una selva artefatta, accomodata ad uno scopo a lei estraneo. L’incanto ne’ romanzi cavallereschi è così arbitrario come la natura, e non è altro che combinazione straordinaria di apparenze, che destino curiosità e maraviglia. Qui, come è concepito dal Tasso, l’incanto è ragionevole, e perciò intelligibile, è la natura rimaneggiata dall’arte e indirizzata ad uno scopo. Come il giardino e il palazzo incantato, così la selva incantata è opera di artista che l’atteggia a suo modo e secondo i suoi fini. Il concetto non è nuovo, è la nota selva delle false apparenze, la selva degli errori e delle passioni; ma l’esecuzione è originalissima, e ti offre il microcosmo del Tasso, il suo mondo elegiaco-idillico condensato e accentuato. Ci è lì fuso insieme Erminia e Armida, Tancredi e Rinaldo, tutta l’anima poetica del Tasso, ciò che di più