Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/211

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riconcilia da ultimo mediante le solite agnizioni. Il poema è un’apoteosi della vita pastorale e dell’età dell’oro, contrapposto alla corruzione e alle agitazioni della città, e invocata spesso da’ personaggi con senso d’invidia nella stretta delle loro passioni. Abbondano invocazioni, preghiere, sentenze morali e religiose; ma il fondo è sostanzialmente pagano e profano, è il naturalismo, la natura scomunicata e condannata come peccato, che qui, dopo lunga lotta, si scopre non essere altro che la stessa legge del destino. La conclusione è: Omnia vincit Amor, riconciliato col destino e divenuto virtù, con tanto più sapore, con quanto più dolore:

Quello è vero gioire,
Che nasce da virtù dopo il soffrire.

Ma la virtù è nome, e la cosa è il godimento amoroso sotto forme così voluttuose, che il Bellarmino ebbe a dire aver fatto più male con quel suo libro il Guarini, che non i luterani. Dal concetto nasce tutto l’intrigo. Corisca e il satiro sono l’elemento comico e plebeo: l’una è la donna corrotta della città, tornata a’ campi e divenuta il mal genio di questa favola, l’altro è l’ignoranza e la grossolanità della vita naturale ne’ suoi cattivi istinti, e tutti e due sono la macchina poetica, l’istrumento che annoda gli avvenimenti e produce la catastrofe. I protagonisti sono Mirtillo e Amarilli, che si amano senza speranza, essendo Amarilli fidanzata a Silvio, il quale, come la Silvia dell’Aminta, è dedito alla caccia, ed ha il core chiuso all’amore, invano amato da Dorinda, invano fidanzato ad Amarilli. Mirtillo ed Amarilli per inganno di Corisca e per la bestialità del satiro sono dannati a morte, mentre Silvio per errore ferisce Dorinda travestita e scambiata per lupo. All’ultimo Silvio s’intenerisce e sposa Dorinda, e Mirtillo, sco-