Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/213

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ciò non ci è epica, e non ci è dramma. Quel suo mondo dell’Arcadia era per lui cosa così poco seria, come il mondo cavalleresco era all’Ariosto, salvo che l’Ariosto se ne ride, e lui lo prende sul serio, a quel modo che il Tasso. Cosa n’esce? Sotto pretensioni drammatiche esce un mondo lirico, come di sotto alle pretensioni eroiche del Tasso usciva un poema lirico. Il secolo era vuoto di passione e di azione, e vuoto di coscienza, nè il concilio trentino potè dargliene altro che l’apparenza ipocrita. Questo è un secolo di apparenza, scrive il Guarini, e si va in maschera tutto l’anno. Ma egli pure andava in maschera, e fu col secolo, non fuori e non sopra di esso. Rimaneva l’idolatria della letteratura, considerata come un bel discorso nella eleganza delle sue forme, condimento di una vita molle tra le feste e le pompe e gli ozii idillici delle Corti. E questa è la vita che ti dà il Guarini, bei discorsi lirici e musicali, per entro ai quali spira un’aria molle e voluttuosa. Questa è la vita intima del Pastor Fido, come dell’Aminta, e se vogliamo gustarlo, lasciamo lì il dramma co’ suoi innesti, le sue mescolanze e il suo Destino, e mettiamoci a questo punto di vista.

Manca al Guarini l’ispirazione, la malinconia, la concentrazione fantastica, il profondo sentimento del Tasso, e come poeta, gli è di gran lunga inferiore. Parla sempre di amore, ma non lo sente. E non sente la vita pastorale, quella inclinazione alla solitudine e alla pace idillica, lui che ambizione e cupidigia tenea distratto tra le più prosaiche occupazioni della vita. La virtù, la religione, il Destino, tutto ciò che la vita ha di più elevato, è nella sua mente, non è nella sua coscienza. O per dir meglio coscienza non ha, quel focolare interno, dove convivono e si raffinano tutte le potenze dell’anima, condizionandosi a vicenda, dove si genera il filosofo, il poeta, l’uomo di stato, il gran cittadino, centro di