Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/220

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dannato a un giusto obblio le opere servili, frondose e adulatorie, e serba grata memoria di quelle, dove spira alcuna libertà di pensiero, perchè, quando anche non possa ammirare lo scrittore, trova degno d’ammirazione l’uomo. Certo all’uomo è inferiore lo scrittore, perchè la sua critica è negativa, e non move dalla chiara coscienza di una nuova società, ma da un semplice sentimento di resistenza e di opposizione. Anche nel cinquecento la critica è negativa, ma è negazione universale, col consenso e fra le risa di tutti, non è il pensiero solitario dell’artista. Questo spiega il Berni, spiega la Mandragola, le satire dell’Ariosto, le commedie dell’Aretino, i poemi cavallereschi ironici e umoristici. La scienza può esser solitaria; l’arte dee avere a sua materia un mondo plastico e vivente, di cui è la voce. In quel secolo la negazione era libera, ammessa, desiderata, applaudita, ci era comunione simpatica fra l’autore e i lettori; e ci era pure in fondo a quella negazione la coscienza di un mondo nuovo, di un rinnovamento o risorgimento, di un mondo dell’arte e della natura, che succedeva alla barbarie del medio evo. Anche nel trecento Dante avea con sè il secolo, e lo fuse in tutte le sue direzioni in un mondo plastico, che era appunto il mondo del medio evo, l’altro mondo. Ora ci è un mondo ipocrita e inquisitoriale, dove la vita religiosa e sociale fuori della coscienza è meccanizzata e immobilizzata in forme fisse e inviolabili. L’arte intisichisce, priva di un mondo libero intorno a sè. Chi vuol comprendere la differenza de’ secoli, legga i Ragguagli di Parnaso di Traiano Boccalini, l’ardito commentatore di Tacito, caduto sotto il pugnale spagnuolo. Il suo Parnaso, che succede al mondo ariostesco e al dantesco, è di nessunissima serietà, e rimane una semplice occasione, una cornice, dove inquadra pensieri, stizze, frizzi, allusioni e allegorie, senz’altra unità o centro che il suo