Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/268

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telletto che suscitato dall’amore acquista occhio e contempla, e la volontà che ringagliardita dalla contemplazione diviene efficace, o doppiata: ciò che Bruno esprime con la formola: Io voglio volere. Dalla contemplazione esce dunque l’azione; la vita non è ignoranza e ozio, anzi è intelletto e atto mediante l’amore, secondo la formola dantesca rintegrata da Bruno, è intendere ed operare. Maggiori sono le contrarietà e le necessità della vita, e più intensa è la volontà, perchè amore è unità e amicizia de’ contrarii o degli oppositi, e nel contrasto cerco la concordia. La mente è unità, l’immaginazione è moto, è diversità; la facoltà razionale in mezzo, composta di tutto, in cui concorre l’uno con la moltitudine il medesimo col diverso, il moto con lo stato, l’inferiore col superiore. Come gli Dei trasmigrano in forme basse e aliene, o per sentimento della propria nobiltà ripigliano la divina forma; così il furioso eroico, innalzandosi per la conceputa specie della divina beltà e bontà, con l’ale dell’intelletto e volontà intellettiva s’innalza alla divinità, lasciando la forma di soggetto più basso:

Da soggetto più vil divegno un dio,
Mi cangio in Dio da cosa inferiore.

Cangiarsi in Dio significa levarsi dalla moltitudine all’uno, dal diverso allo stesso, dall’individuo alla vita universale, dalle forme cangianti al permanente, vedere e volere nel tutto l’uno, e nell’uno il tutto. O per uscire da questa terminologia, Dio è verità e bontà scritta al di dentro di noi, visibile per lume naturale, e cercarla e possederla è la perfezione morale, lo scopo della vita.

È stato notato che Bruno non ti offre un sistema concorde e deciso. La filosofia è in lui ancora in istato di fermentazione. Hai i vacillamenti dell’uomo nuovo, che vive ancora nel passato e del passato. Combatte il soprannaturale, ma il suo lume naturale, la sua Mens