Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/282

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«Come sai tu le lettere, se non le imparasti mai? Forse hai addosso il demonio. «Ma io, rispose il prigioniero, ho consumato più d’olio che voi di vino». Lo si fece autore del libro De tribus impostoribus, Mose, Christo et Mahumed, stampato trent’anni prima ch’ei nascesse. Fu detto che voleva fondar la repubblica con l’aiuto de’ Turchi, e che era un eretico, e aveva dottrina pericolosa, e non credeva a Dio. Invano scrisse Della monarchia, e l’Ateismo vinto, e la Disputa antiluterana. Fu condannato da Roma e da Spagna, ribelle ed eretico, e tenuto in prigione ventisette anni, sottoposto alla tortura sette volte. «Mi fur rotte le vene e le arterie; e il cruciato dell’eculeo mi lacerò le ossa, e la terra bevve dieci libbre del mio sangue: risanato dopo sei mesi, in una fossa fui seppellito, ove non è nè luce, nè aria, ma fetore e umidità e freddo perpetuo.» Dopo dodici anni di tali martirii fa questo triste inventario de’ suoi mali:

Sei e sei anni che in pena dispenso
     L’afflizion d’ogni senso,
     Le membra sette volte tormentate
     Le bestemmie e le favole de’ sciocchi,
     Il sol negato agli occhi,
     I nervi stratti, l’ossa scontinuate,
     Le polpe lacerate,
     I guai dove mi corco,
     Li ferri, il sangue sparso e il timor crudo
     E il cibo poco e sporco.
     

Fra tanti tormenti scriveva, scriveva sempre, versi e prose.

I tempi si facevano più scuri. Copernico era uomo piissimo, chiuso ne’ suoi studi matematici, era un matematico, non un filosofo, dicea Bruno, che di quel sistema avea saputo fare un così terribile uso col suo ingegno libero e speculativo. Il sistema era presentato