Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/305

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la sua incompetenza e la sua debolezza. Questi celebravano la coltura e la scienza, quelli stavano con la pura fede, co’ poveri di spirito e con i semplici di cuore. Gli uni si fondavano sull’esperienza e sull’osservazione; gli altri sulla rivelazione e sull’autorità di Aristotile, degli Scolastici, de’ Santi Padri e de’ Dottori. Gli uni facevano centro de’ loro studi la natura e l’uomo; gli altri sottilizzavano sugli attributi di Dio, sulla predestinazione e sulla grazia. Gli uni volevano togliere alla Chiesa ogni temporalità, e semplicizzare le forme ed il culto; gli altri volevano mantenere inviolate tutte le forme, anche le assurde e le grottesche, e non che rinunziare al temporale, ma volevano dilatare la loro ingerenza e il loro dominio, prendendo a base il potere assoluto del Papa e la sua supremazia anche nelle cose temporali. Fin d’allora valse il motto: aut sint ut sunt, aut non sint: o vivere così, o morire.

Questa reazione così cieca sarebbe durata poco, se non fosse stata sorretta dalla tenace abilità de’ gesuiti, la milizia del papa. I quali, doma l’aperta ribellione co’ terrori dell’inquisizione, vollero guadagnare alla restaurazione anche le volontà e le coscienze, mostrando in questo assunto una conoscenza degli uomini e del secolo e un’arte di governo, che li resero degni continuatori della politica medicea. Persuasi che governa il mondo chi più sa, coltivarono gli studi e si sforzarono di mantenere il primato del Clero nella coltura. Non potendo estirpare in tutto il nuovo, accettarono la superficie, e vestirono la società a nuovo per meglio conservare il vecchio. Presero dunque aria di uomini colti e liberali, scossero da sè la polvere scolastica, e per meglio vincere il laicato presero nei modi e nei tratti apparenze più laicali che fratesche, confidandosi di abbatterlo con le sue armi. Divenuti amici e protettori dei letterati e fautori della coltura, apersero scuole e con-