Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/364

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Un’ottava, dove descrive Anna che canta, rivela nell’evidenza e nel brio del colorito una certa genialità:

La voce pria nel molle petto accolta,
Con maestra ragion spigne o sospende.
Ora in rapide fughe e in groppi avvolta
Velocissimamente in alto ascende;
Ora in placido corso e più disciolta,
Soavissimamente in giù discende;
I momenti misura, annoda e parte,
E talor sembra fallo, ed è tutt’arte.

Qui lascia le solite generalità, entra nel vivo de’ particolari, e vi mostra la forza di chi sa già tutto dire e nel modo più felice. Gli epitalamii non sono in fondo che idillii, col solito macchinismo, Amore, Venere, Marte, Diana, Minerva, Vulcano. Nè altro sono le prime sue azioni teatrali, rappresentate in Napoli, come la Galatea, l’Endimione, gli Orti Esperidi, l’Angelica. Diamo un’occhiata all’Angelica. Di rincontro a’ protagonisti, Angelica e Orlando, stanno Licori e Tirsi. C’è il solito antagonismo tra la città e la campagna, la scaltrezza di Angelica e l’ingenuità di Licori: onde nasce un intrighetto che riesce nel più schietto comico. Le furie di Orlando non possono turbare la pace idillica diffusa su tutto il quadro, e lo stesso Orlando finisce idillicamente:

Torna, torna ad amarmi e ti perdono.
Aurette leggiere
Che intorno volate,
Tacete, fermate,
Chè torna il mio ben.

Angelica lascia per sempre quegli ameni soggiorni con quest’arietta:

Io dico all’antro, addio:
Ma quello al pianto mio
Sento che, mormorando,
Addio, risponde.