Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/386

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lettuale era tutta dal canto de’ novatori: chi aveva un po’ d’ingegno, si gittava al moderno, come si diceva, nelle dottrine e nel modo di scrivere, e si acquistava nome di bello spirito, dispregiando i classici, come di spirito forte, dispregiando le credenze. La vecchia letteratura, come la vecchia credenza, era detta pregiudizio, e combattere il pregiudizio era la divisa del secolo illuminato, del secolo della filosofia e della coltura. Chi ricorda l’entusiasmo letterario del rinascimento, può avere un giusto concetto di questo entusiasmo filosofico del secolo decimottavo. I fenomeni erano i medesimi. Allora si chiamava barbarie il medio evo; ora si chiama barbarie medio evo e rinascimento. Lo stesso impeto negativo e polemico è ne’ due movimenti, foriero di guerre e di rivoluzioni. E ci erano le stesse idee, maturate e sviluppate oltralpe, strozzate presso di noi e rivenuteci dal di fuori. Anzi il movimento non è che un solo, prolungatosi per due secoli con diverse vicissitudini nelle varie nazioni, procedente sempre attraverso alle più sanguinose resistenze, e ora accentrate e condensato sotto nome di filosofia, fatto della letteratura suo istrumento. Questo volea dire il motto: cose e non parole. Volea dire che la letteratura, stata trastullo d’immaginazione senza alcuna serietà di contenuto, e divenuta per fino un semplice gioco di frasi, dovea acquistare un contenuto, essere l’espressione diretta e naturale del pensiero e del sentimento, della mente e del cuore: onde nacque più tardi il barbaro vocabolo cormentalismo. Messa la sostanza nel contenuto, quell’ideale della forma perfetta, gloria del rinascimento, e rimasto visibile nelle stesse opere della decadenza, come nel Pastor fido, nell’Adone, nel dramma di Metastasio, cesse il posto alla forma naturale, non convenzionale, non manifatturata, non tradizionale, non classica, ma nata col pensiero e sua espressione immediata. Perciò il Cesarotti, rispon-