Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/43

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Stese la mano in quella chioma d’oro,
E ritirolla a sè con violenza;
Ma come gli occhi in quel bel volto mise
Glie ne venne pietade e non l’uccise.

Così subitanee e così fugaci sono le tue emozioni, quando ti balzano innanzi certe immagini tenere. Si sveglia subito nel tuo cuore qualche cosa che si move, e che non puoi chiamare ancora sentimento, quando una nuova immagine ti avverte del gioco e ricaschi nella tranquillità della tua visione. Una delle creature più simpatiche dell’Ariosto è Zerbino, e quando gli giunge addosso la spada di Mandricardo, ci è nel nostro cuore un piccol movimento, che risponde ai palpiti della sua Isabella; ma il poeta con una galanteria piena di grazia paragona la lunga e non profonda ferita al nastro purpureo, che partisce la tela d’argento ricamata dalla sua bella, e spegne in sul nascere quel movimento. La morte di Zerbino è una scena molto tenera, il cui sentimento troppo straziante è rintuzzato da immagini graziosissime. Isabella è china sul morente; il poeta la guarda, e la trova pallidetta come rosa,

Rosa non colta in sua stagion, sì ch’ella
Impallidisca in su la siepe ombrosa.

Zerbino morendo, nella sua disperazione manda un ultimo sguardo pieno di passione all’amata:

Per queste bocca e per questi occhi giuro,
Per queste chiome onde allacciato fui.

Talora è una sola circostanza ben collocata che dal sentimentale ti gitta nell’immagine:

E straccia a torto le auree crespe chiome.