Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/75

Da Wikisource.

― 63 ―

Ma nel Principe, ne’ Discorsi, nelle Lettere, nelle Relazioni, ne’ Dialoghi sulla milizia, nelle Storie Machiavelli scrive come gli viene, tutto inteso alle cose, e con l’aria di chi reputi indegno della sua gravità correre appresso alle parole e a’ periodi. Dove non pensò alla forma riuscì maestro della forma. E senza cercarla trovò la prosa italiana.

È visibile in Niccolò Macchiavelli lo spirito incredulo e beffardo di Lorenzo, impresso sulla fronte della borghesia italiana in quel tempo. E avea pure quel senso pratico, quella intelligenza degli uomini e delle cose, che rese Lorenzo eminente fra’ principi, e che troviamo generalmente negli statisti italiani a Venezia, a Firenze, a Roma, a Milano, a Napoli, quando vivea Ferdinando d’Aragona, Alessandro VI, Ludovico il Moro, e gli ambasciatori Veneziani scrivevano ritratti così vivi e sagaci delle Corti, presso le quali dimoravano. Ci era l’arte, mancava la scienza. Lorenzo era l’artista. Macchiavelli doveva essere il critico.

Firenze era ancora il cuore d’Italia; lì ci erano ancora i lineamenti di un popolo, ci era l’immagine della patria. La libertà non voleva ancora morire. L’idea ghibellina e guelfa era spenta, ma ci era invece l’idea repubblicana alla romana, effetto della coltura classica, che fortificata dall’amore tradizionale del viver libero, e dalle memorie gloriose del passato resisteva a’ Medici. L’uso della libertà e le lotte politiche mantenevano salda la tempra dell’animo, e rendevano possibile Savonarola, Capponi, Michelangiolo, Ferruccio, e l’immortale resistenza agli eserciti papali imperiali. L’indipendenza e la gloria della patria e l’amore della libertà erano forze morali fra quella corruzione medicea rese ancora più acute e vivaci dal contrasto.

Macchiavelli per la sua coltura letteraria, per la vita licenziosa, per lo spirito beffardo e motteggevole e co-