Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/84

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Ma, osservatore sagace, non gli può sfuggire il fenomeno storico de’ grandi Stati che si erano formati in Europa, e come il comune era destinato anch’esso a sparire con tutte le altre istituzioni del medio Evo. Il suo comune gli par cosa troppo piccola e non possibile a durare dirimpetto a quelle potenti agglomerazioni delle stirpi, che si chiamavano Stati o Nazioni. Già Lorenzo, mosso dallo stesso pensiero, avea tentato una grande lega italica, che assicurasse l’equilibrio tra’ varii Stati e la mutua difesa, e che pure non riuscì ad impedire l’invasione di Carlo VIII. Niccolò propone addirittura la costituzione di un grande Stato italiano, che sia baluardo d’Italia contro lo Straniero. Il concetto di patria gli si allarga. Patria non è solo il piccolo comune, ma è tutta la nazione. L’Italia nell’utopia dantesca è il giardino dell’impero; nell’utopia del Machiavelli è la patria, nazione autonoma e indipendente.

La patria del Machiavelli è una divinità, superiore anche alla moralità e alla legge. A quel modo che il Dio degli ascetici assorbiva in sè l’individuo, e in nome di Dio gl’inquisitori bruciavano gli eretici, per la patria tutto era lecito, e le azioni che nella vita privata sono delitti, diventavano magnanime nella vita pubblica. Ragion di Stato e salute pubblica erano le formole volgari, nelle quali si esprimeva questo dritto della patria, superiore ad ogni dritto. La divinità era scesa di cielo in terra e si chiamava la patria, ed era non meno terribile. La sua volontà e il suo interesse era suprema lex. Era sempre l’individuo assorbito nell’essere collettivo. E quando questo essere collettivo era assorbito a sua volta nella volontà di un solo o di pochi, avevi la servitù. Libertà era la partecipazione più o meno larga de’ cittadini alla cosa pubblica. I dritti dell’uomo non entravano ancora nel codice della libertà. L’uomo non era un essere autonomo, e di fine a sè stesso; era l’i-