Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/86

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è in nessuno de’ suoi contemporanei un sentimento religioso e morale schietto e semplice.

Noi che vediamo le cose di lontano, troviamo in queste dottrine lo Stato laico, che si emancipa dalla teocrazia, e diviene a sua volta invadente. Ma allora la lotta era ancor viva, e l’una esagerazione portava l’altra. Togliendo le esagerazioni, ciò che esce dalla lotta, è l’autonomia e l’indipendenza del potere civile, che ha la sua legittimità in sè stesso, sciolto ogni vincolo di vassallaggio e di subordinazione a Roma. Nel Machiavelli non ci è alcun vestigio di dritto divino. Il fondamento delle repubbliche è vox populi, il consenso di tutti. E il fondamento de’ principati è la forza, o la conquista legittimata e assicurata dal buon governo. Un po’ di cielo e un po’ di papa ci entra pure, ma come forze atte a mantenere i popoli nell’ubbidienza e nell’osservanza delle leggi.

Stabilito il centro della vita in terra e attorno alla patria, al Machiavelli non possono piacere le virtù monacali dell’umiltà e della pazienza, che hanno disarmato il cielo e effeminato il mondo, e che rendono l’uomo più atto a sopportare le ingiurie che a vendicarle. Agere et pati fortia romanum est. Il cattolicismo male interpretato rende l’uomo più atto a patire che a fare. Il Machiavelli attribuisce a questa educazione ascetica e contemplativa la fiacchezza del corpo e dell’animo, che rende gl’italiani inetti a cacciar via gli stranieri e a fondare la libertà e l’indipendenza della patria. La virtù è da lui intesa nel senso romano, e significa forza, energia, che renda gli uomini atti a’ grandi sacrificii e alle grandi imprese. Non è che agl’italiani manchi il valore; anzi ne’ singolari incontri riescono spesso vittoriosi; manca l’educazione o la disciplina, o, come egli dice, i buoni ordini e le buone armi, che fanno gagliardi e liberi i popoli.