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della rivoluzione di roma 349


«Eminenza Reverendissima,

» L’Eminenza Vostra, senza neppure venir pregata e sollecitata da me, ma solo per vive raccomandazioni de’ miei parenti ed amici, ha voluto, per gran bontà naturale, favorirmi e beneficarmi. E non essendo riuscita nel primo atto d’intercessione presso il glorioso pontefice, si è pur degnata di replicare le istanze; e ieri mi giunse avviso che Sua Santità condiscende, a contemplazione della domanda fattane dall’Eminenza Vostra, a darmi licenza di rivedere la mia provincia natale, e per lo spazio di tre mesi poter quivi riconfortarmi con la mia famiglia e con gli amici de’ miei primi anni. Quanto poi alla condizione posta da Sua Santità, che io prometta innanzi (trascrivo le parole medesime di Vostra Eminenza nella lettera sua al Perfetti), di non volere in alcun modo cooperare nè direttamente nè indirettamente a turbare l’ordine delle cose politiche negli Stati Pontifici, io pensava che non le fosse nascosto avere io compiuta assai largamente quella siffatta dichiarazione, scrivendo nel marzo del corrente anno all’Eminentissimo Gizzi e chiedendogli di venir posto a parte del benefizio dell’amnistia; «la qual promessa (aggiungeva io in quel foglio, e replico nel presente) io fa molto più volentieri, e intendo di adempiere con tanto maggiore lealtà, quanto è già lunga pezza che scrivo, e persuado i cittadini miei di calcare le vie in cui sembrano alla per fine voler entrar tutti concordemente, e le quali sole possono condurre alla vera e stabile rigenerazione della patria nostra» . Ciò io significava e scriveva or fanno parecchi mesi; ed in questo mezzo tempo il succedere delle cose è riuscito così favorevole alle speranze dei buoni, che quella promessa di rispettar le leggi quali sussistono, e fuggire ogni modo occulto e violento di mutazione, è divenuto un obbligo naturale, necessario e comune, da poi che mediante la saggezza miracolosa di