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della rivoluzione di roma | 363 |
Lasciando da parte la questione per la occupazione di Ferrara, altra difficoltà sorgeva fra i due governi per le parole ingiuriose, o almeno per le esorbitanze di linguaggio, in cui trascorrevano le pubbliche stampe a carico dell’Austria. Ciò pure formò il soggetto di una corrispondenza fra il generale Fiquelmont ed il conte Lutzow austriaco ambasciatore in Roma,1 ed ai richiami del Fiquelmont rispondeva di nuovo il cardinal Ferretti con lettera del 19 ottobre,2 e con altra senza data.
Tutte queste cose rendevano la situazione del Santo Padre sempre più difficile e pericolosa. Esso trovavasi fra due fuochi, di cui in quel momento non sapremmo dire qual fosse il peggiore. Continuavano però le trattative, delle quali più tardi si darà da noi la soluzione. Certo è che l’Austria colla sua mossa imprudente ed intempestiva non potea meglio porgere motivo o pretesto per rafforzar l’italica agitazione.
Intanto il 4 di ottobre fu tenuto dal Santo Padre un concistoro segreto nel palazzo sul Quirinale,3 nel quale creò il patriarca di Gerusalemme, e pronunziando l’allocuzione: «Quisque vestrum,» provvide a tre chiese arcivescovili e cinque vescovili, e conferi due titoli in partibus e tre pallî. Terminava la sua allocuzione con alcune parole dirette ai popoli, colle quali inculcava loro di essere obbedienti e sottomessi verso i principi regnanti. Eccole:
«Tamen vehementer dolemus in diversis locis nonnullos e populo existere, qui nostro nomine temere abutentes et gravissimam Personæ Nostræ, ac supremæ dignitate injuriam inferentes, debitam erga principes subjectionem denegare, et contra illos turbas pravosque motus concitare audent. Quod certe a nostris consiliis adheo abhorrere constat, ut in nostris encyclicis literis