Pagina:Storia della rivoluzione di Roma (vol. I).djvu/454

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La verità del fatto è la seguente. Roma era divenuta assai trista perchè ormai multi eransi avveduti che si andava a cadere in una semi-anarchia, e i fatti che avvennero qualche giorno dopo lo provaron chiaramente. L’atmosfera era in uno stato di perturbazione e di tempesta, sicchè non incoraggiava quelle radunate di gente che somministra il ceto civile, e che eransi vedute in passato. E questa fa la cagione perchè la dimostrazione stabilita per la sera del 26 venisse differita a quella del 27.

Ed invero non videsi in quella sera procedere verso il Quirinale fra il fango, la pioggia e il balenar dell’atmosfera, se non che una lurida accozzaglia di paltonieri in piccol numero, cui unironsi al solito alcuni popolani condotti dal tristamente famoso Ciceruacehio: e questa fu tutta la dimostrazione della sera del 27. Ma chi crederebbe che si avesse la impudenza di alternar fra le grida di viva Pio IX quelle di viva Paradisi, e abbasso Torlonia? — E pure s’intesero e si attribuirono agli arrabbiati del circolo popolare.

Queste ed altre simili indegnità, che dovrebbero farci porre le mani sul volto per la vergogna, hanno trovato apologisti fni gli uomini che si dicon saggi!

I nostri giornali tacquero la verità. Il solo Italico ne dette un cenno, il quale chiaramente palesa che fu una dimostrazione più di minaccia che di festa. Ecco le sue parole: «Chi vide le altre sere per tale intendimento festive, le differenzia da questa come la luce delle stelle dal fulgore del baleno, come il sorriso di una ingenua donzella dal sogghigno di un uomo incitato.»1

II linguaggio dell’Italico ch’era pure uno dei giornali moderatamente liberali di Roma, dice abbastanza per istruirci che una minaccia indecorosa e intempestiva fu il serto di fiori riservato dalla rivoluzione al benefico Pio IX pel suo onomastico del 1847.

  1. Vedi l'Italico, anno I, pag. 120.