Pagina:Storia della rivoluzione di Roma (vol. I).djvu/476

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E come non è a stupire se riescon torbide le acque che ci provengono da scaturigini ove abbondino la melma ed il fango, così non è a maravigliarsi se non dissimili dall’albero che le produsse furon le frutta che ci porse la civica in entrambi gli stati, nel romano cioè e nel toscano.

E difatti non appena eransi vedute le prime uniformi in Roma, che già chi le indossava, come per noi fu narrato sotto la data del 7 settembre, le veniva prostituendo coll’inframmettersi in dimostrazioni di piazza, le quali a quel che davano a conoscere, altro non erano che le prime scintille della rivoluzione italiana.

La parola fraternità era all’ordine del giorno siffattamente, da degenerare quasi in caricatura. Quindi è che senza por mente a distinzione di gradi, vedevansi mischiati nobili e plebei, militari e borghesi, e tra i militari stessi un affratellarsi vicendevole di civica e linea. E intanto non si avvedevano che questo miscuglio inconsiderato e ridicolo veniva distruggendo le basi dell’ordine pubblico e della civil convivenza.

Che diremo poi di quel porre in non cale i doveri del proprio stato per prestarsi in servigio della guardia civica? Di quei subalterni cioè, i quali mal sofferenti di recarsi ai propri uffici sotto colore di servir la patria, facevan di tutto per assentarsene? di quella simulata tolleranza dei capi cui era interdetto dal timore perfin di zittire? Non era questa una scuola di simulazione e di dissimulazione ad un tempo?

Che se in qualche parte vi guadagnò la gioventù nd fisico stante gli esercizi militari, altrettanto scapitò nel morale: e questo fu l’altro danno non piccolo da deplorare.

Della civica mobilizzata poi ci vergognamo di parlare, come quella che si segnalò ovunque e per indisciplinatezza e per enormità commesse. Quelle che attribuirono ad alcuni garibaldini nel 1849 non raggiunser di certo la decima parte di quelle perpetrate dalla civica mobilizzata.