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» Dobbiamo ancora dichiarare per la verità essere insussistente quanto riferivasi nella Pallade n. 198, che alcuno dell’ambasciata austriaca abbia parlato al popolo e quindi atterrato lo stemma. Niuno dei componenti la legazione ciò fece: nè alcuno di essi in tale disgustoso avvenimento mancò, nella benchè minima parte, al proprio dovere. Solamente un ragguardevole personaggio, estraneo alla legazione stessa, trovatosi a caso nell’abitazione dell’agente imperiale, per amore della quiete e dell’ordine pronunciò parole di legalità, sconsigliando di mandare ad effetto quel disegno.»1

Questo racconto è inesatto, perchè un quaranta o cinquanta individui di apparente civil condizione, non armati, e senza strepito incedenti, non costituiscono una moltitudine, come dice la Gazzetta, la quale poi omise il più essenziale, perchè non ci dice come fu poi che ad onta dell’esortazione del personaggio ragguardevole, gli stemmi in via Macel de’ corvi venissero abbassati. Noi manteniamo fermo il nostro racconto, perchè fummo fra i pochissimi testimoni di vista. Quanto poi alle inesattezze della Gazzetta officiale, non è a meravigliarsene, se si considera che avevamo in quel tempo il conte Recchi per ministro dell’interno, il dottor Farini per sostituto al medesimo, e l’avvocato Galletti per direttore di polizia. Questi governavano Roma, e come tutti sanno, appartenevano tutti e tre alla rivoluzione.

Alle ore quattro pomeridiane circa ebbe luogo una imponente processione che mosse dalla piazza del Popolo e che passando pel Corso, recossi al Campidoglio. Nella chiesa dell’Ara-Coeli fu cantato a popolo il Te Deum, e quindi tutti recaronsi al Colosseo, ove il padre Gavazzi predicò, dicendo nel suo pessimo, goffo, ed enfatico stile tutto quello che seppe dire allusivo a quella occasione. Ma esso fece anche di più, perchè bandì la santa crociata contro gli Austriaci. Enfatiche parole disse pure il Masi, ma il Masi era poeta; e mentre intendeva con abilità somma ad

  1. Vedi la Gazzetta di Roma del 23 marzo 1848.