Pagina:Storia della rivoluzione di Roma (vol. II).djvu/444

Da Wikisource.
438 storia

Ma di grazia, chi aveva creato queste stranezze e singolarità di principato, questo singolare governo, questo singolarissimo tempo, se non la rivoluzione? Nè poteva essere altrimenti. Avevan voluto per distruggerlo, incominciare dal far laico un governo essenzialmente clericale, ammodernare un edificio di antico disegno coll’aggiungere il nuovo e conservare il vecchio!... Non poteva dunque da questo innesto di nuovo e di vecchio non risultare una specie di governo mostro a due disegni, a due faccie, a due colori; ove da un lato erano fra chi reggevanlo uomini di fede cieca e fervente, animati, di speranze confortatrici nel futuro, professanti prima di tutto la fede in Dio e quindi la carità universale inverso gli uomini tutti che vivon su questa terra, non che l’umiltà, la pazienza, la rassegnazione e la pace; dall’altro, individui professanti apertamente lo scetticismo, il razionalismo, la incredulità, le cupidigie sfrenate di godimenti nella vita presente, gli eccitamenti alla inobbedienza ed alla insurrezione, gonfi di superbia, pregni d’ira, impastati d’ipocrisia, proclivi alle disperazioni, provocatori instancabili di estermini e di guerre! Potevansi mai gli elementi de’ primi fondersi e compenetrarsi co’ secondi?

E pure queste anormalità incompatibili ci dettero, ed a cosiffatte deplorabili condizioni ridussero questo tanto bersagliato pontificio governo le mene dei tristi, i pianti dei traditori, le minaccie dei sanguinari, i sorrisi dei protestanti, i sogni degli utopisti, le tenerezze dei miscredenti.

Questi furon dunque i primi frutti della cospirazione cosmopolitica che scelse Roma per suo centro, ed a niuno meno che al Farmi si addice di farne lamento, egli che può dire quorum pars magna fui, e che col suo manifesto di Rimini del 1845 piantò una delle prime pietre dell’edificio rivoluzionario che ora, qual coccodrillo politico, viene a rimpiangere.