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Meno pertanto che alla civica preposto un Gallieno, alla linea un Lentulus, che fungeva come pro-ministro delle armi, Roma non ebbe nè governo nè autorità per guidarla.

Restava però il circolo popolare. E la sera del 15 di fatti vi si tenne una riunione quanto numerosa, altrettanto tumultuaria. Noi non vi eravamo, chè giammai volemmo frequentare circoli. Bensì abitando di prospetto al circolo popolare, avemmo agio di vedere e di udire quel che ora diremo.

Prima però di raccontare ciò che si passò in quella fucina di cospirazioni, dobbiam premettere la narrazione di uno dei più turpi e obbrobriosi episodi, che nella stessa sera ebbe luogo.

Vedevansi (e inorridiamo nel raccontarlo) turbe di giovani plaudenti, con faci, e cartelli, e bandiere tricolori vagare pel Corso canterellando, ed estollendo l’assassinio del Rossi. Sì fu vero pur troppo che andavasi gridando: «Benedetta quella mano che il Rossi pugnalò,» e che rivaleggiavano i membri di quelle orgie infernali per ascriverne ciascuno a sè il merito. Erano orgie briache di sangue, e gavazzanti per colpe e per vendette, che scorrazzavan tripudianti per le vie di Roma, e a tanto spinsero la inumana ferocia, che là ove discioglievasi in pianto la famiglia dell’estinto, incontro il palazzo Doria, arrestaronsi per glorificare quella mano che alla vedova tolse lo sposo, ai figli il padre, al sovrano il fido ministro, a Roma la sua sicurezza e le sue nascenti speranze.

E tu o vessillo tricolore, che fosti bene spesso testimonio di tante nefandità che sotto i tuoi auspici si commisero, incomincia dal farti ribenedire, se vuoi che sotto la tua ombra onorata possano gl’italiani fondare un giorno il regno della libertà. Finora assistesti alle orgie schifose di plebe insensata e proterva, e all’ombra tua perpetraronsi atti molteplici che disonorano l’umanità. Della libertà non parliamo: essa fu sempre in sulla bocca dei mestatori,