Pagina:Storia della rivoluzione di Roma (vol. II).djvu/541

Da Wikisource.

della rivoluzione di roma 535

duta ad un nostro amico o congiunto, il mandare a prendere le sue nuove, al papa, al sovrano, al padre, a quel padre e sovrano ch’erasi dianzi portato alle stelle, dopo uno scompiglio ed uno spavento simile a quello del 16 novembre, non si mandò dal Consiglio dei deputati non che una deputazione, un solo individuo, a tributargli se non atto di ossequio, almeno di semplice interessamento per la sua persona. Siam persuasi però che ad onta delle grida del Canino i deputati lo avrebber fatto; ma la pressura tirannica delle minaccianti tribune intimorì tutti. E questo è il paese ove potrebbe attecchire il regime rappresentativo?

Ora potremmo richiederci se vi fu mai in Roma il minimo indizio di reazione, o la menoma circostanza che rivelasse la esistenza di un partito clericale o sanfedistico, di che continuamente si parla nelle scritture di parte liberale. E francamente asseriremo che non vi fu giammai, e ne esporrem le ragioni.

I pacifici cittadini di Roma, e ch’erano pel papa, per la religione e per l’ordine, tenevan questo linguaggio: Che cosa volete fare? Ci bisogna pensare a salvare la pelle colla prudenza. Altrimenti chi ci garantisce? Il sovrano non ha forza. Esso versa in acque peggiori delle nostre. È pur troppo un castigo di Dio, e convien soffrirlo con rassegnazione:... post nubila Phœbus. I preti e i frati poi alzavano gli occhi al cielo, e: «sia fatta, dicevano, la sua santissima volontà. È un tempo di prova, i peccati son grandi, conviene chinare il capo e pensare ad emendarci

Questi erano i discorsi universali, queste le mene dei retrivi, questi gl’intrighi degli oscurantisti, queste finalmente le sedizioni degl’immaginari sanfedisti, sui quali non ebbero e non han rossore alcuni storici di assordare l’aere con bugiarde grida.

Ora che abbiamo narrato quantunque imperfettamente ed a malincuore la tremenda catastrofe del 15 e del 16 di novembre, nella quale si riassume tutto ciò che possono