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stituente italiana, il primo pensiero che ci si offerse alla mente fu che a tanta opera si richiedeva un mandato più esplicito, e derivante da più larga base di elezione. E questo pensiero a molti savi ed esperti uomini parve assai ragionevole. Però considerammo d’altra parte ai pericoli dell’indugiare, al supremo bene della concordia, al giovamento che le Camere nell’ordine costituzionale potrebbero arrecare alla cosa pubblica, e queste considerazioni ci sembrarono prevalenti.

» Ma prima delle questioni politiche vi era una quistione di diritto, di umanità, di morale. Nel palagio del Parlamento, in quello che dovrebbe essere sacro tempio della libertà, un ministro del papa, un deputato eletto dalla città di Bologna, un antico ed illustre professore della nostra università, un italiano, un uomo era stato ucciso. Noi non potevamo rimanere seduti su quegli scanni, se il fatto non era dalla giustizia solennemente perscrutato. Questa nostra deliberata volontà esponemmo subito a taluno dei ministri, il quale replicatamente ci assicurò che il ministero non avrebbe lasciato trascorrere la prima adunanza del Consiglio, senza annunziare di avere ordinato la compilazione del processo. Tali assicurazioni ci confortavano grandemente, e allora noi, scevri da qualsivoglia preoccupazione rispetto alle persone, consentimmo di ascoltare in silenzio il nuovo ministero, riservandoci a determinare dai primi suoi fatti la nostra condotta avvenire. In un punto poi per lunga e costante fede eravamo unanimi e ferventi, cioè di favorire con ogni sforzo, e con ogni sagrificio, la causa dell’indipendenza nazionale.

» Qui, o signori, per via di digressione ci sia permesso di accennare che la radunanza del giorno 17, di cui avete letto nella gazzetta singolare menzione, non era stata prima regolarmente annunziata, nè per parte del ministero si riteneva dovesse avere luogo. Questa è la sola e semplicissima ragione che noi e moltissimi altri