Pagina:Storia della rivoluzione di Roma (vol. III).djvu/163

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» Ma si potrebbe fare ciò che non si fece mai, diranno gl’immaginosi. — E risponderanno coloro che per parlar di cose future vogliono partire al meno da fatti presenti: Torino, Milano, Firenze, Roma, Napoli, Parma e Modena, sono sette città capitali al dì d’oggi (senza contar Lucca, destinata a riunirsi con Toscana); in sei di quelle regnano sei principi; ed uomini, città o Stati non diminuiscono di condizione mai se non per forza, non mai per accordo, di buon volere, nè per uno scopo eventuale. Sogno è sperar da una sola città capitale, che voglia ridursi a provinciale; maggior sogno, che sei si riducano sott’una; sogno massimo, che s’accordin le sei a scegliere quell’una. — E tanto più che ciò non è desiderabile, nè per le sei sceglienti, nè per l’una prescelta, nè per la nazione intiera.»1

Visconte G. de la Tour. — Questi nel suo opuscolo Del potere temporale dei papi,2 tradotto e pubblicato in Roma nel 1859, dopo di aver riportato le seguenti parole di Montalembert: «niuno avrà fronte per negare che la vera unità dell’Italia, la sua unità morale, stabilmente fondata nella sua lingua, nelle avite sue glorie, nella sua religione, non derivi ogni saldezza e tutela dal seggio di Pietro stabilito a Roma,» dice quanto appresso:

«E nel vero, dalla ruina del romano impero a questa parte, gl’italiani mai non formarono un unico stato; anzi neppure sotto il romano impero poteano dirsi un popolo libero, che si reggesse a governo elettivo. Roma e i cittadini romani assorbivano ogni cosa, e regnavano da pertutto colla prepotente lor forza. L’Italia cristiana, popolata di diverse razze, non ebbe periodo più glorioso, che sotto il regime municipale. Ella conta illustri città, i

  1. Vedi Balbo, Delle speranze d’Italia. Firenze, Le Monnier, 1855, pag. 25.
  2. Vedi visconte G. de la Tour, Del potere temporale dei papi. Roma 1859, pag 52.