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Ci siamo inoltre diffusi perchè ove ben si rifletta fu questa la sola fazione militare di qualche importanza, essendo che in questo sol fatto i Romani presero deliberatamente l’offensiva spingendo tutta la loro armata a combattere quella dei Napoletani, laddove nel fatto del 30 di aprile ed in quei successivi dell’assedio di Roma essi si difesero necessariamente perchè attaccati dai Francesi, e lo fecero senza dubbio con abilità e valore, di siffatta guisa che gli stessi avversari ne tributaron loro le debite lodi.

Ma in Roma ben diversamente si giudicaron le cose al rientrare dell’armata di Garibaldi. Era secondo la opinione generalmente diffusa, l’armata romana che presentatasi a Velletri, attaccati e sbaragliati i Napolitani, gli aveva posti completamente in fuga: e con questo si pretendeva di aver ottenuto lo scopo prefissosi.

Siccome poi la fama e la volgare opinione non era favorevole affatto al valore napolitano, e siccome una delle loro qualifiche in voga era la tendenza a fuggire, qual meraviglia se ritornate in Roma le schiere dei combattenti romani in attitudine di trionfatrici (perchè allo apparir loro quelle dei Napolitani erano sparite in un subito), vi fosser di molti sarcasmi e caricature e risate a carico loro? Il saporito Don Pirlone pubblicò nel suo numero 213 una spiritosa vignetta esprimente il terrore che il solo nome di Garibaldi ispirava al Borbone di Napoli, rappresentato sotto la figura di un Pulcinella.1

La verità non si venne a conoscere che dopo; e noi col raffrontare che abbiam fatto i rapporti del Roselli pei Romani, del d’Ambrosio pei Napolitani, del Vaillant per la opinione che prevalse su questo fatto al campo francese, e la narrazione del Farini, avremo sparso, non possiamo dubitarne, abbastanza di luce su tale avvenimento storico, affine di poterne concludere che questo ardito divisamento dei repubblicani romani non riuscì felicemente,

  1. Vedi il Don Pirlone del 29 maggio 1849, n. 213.