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suoi tenebrosi. Le convenzioni segnate e statuite non venner rotte, e Roma fu salva.

Ed affinchè sparisca ogni dubbio sulla esistenza di questo episodio appena conosciuto delle nostre lacrimevoli sventure, riporteremo un brano di storia che ci dette un tal Ruggeri in un opuscolo sulla ritirata di Garibaldi da Roma, che pubblicò in Genova nel 1850. Esso dice così:

«Roma più non reggea.... L’Assemblea nazionale avea disperato.... Il Triumvirato avea rimesso il potere.... Quel gran popolo desolato, ma pur sempre magnanimo, attendea con calma l’armata irrompente, e l’ire pontificali, amministrate dalla nazione delle libertà.

» La santa città, benché minacciata dal Gianicolo, benchè aperta al nemico, non parea vinta. Una parola si avea pronunziata di novella difesa alla linea del Tevere, e già in un baleno mille braccia cittadine si apprestavano a rovinare i ponti, cari per memorie, a ritrarre all’amica sponda i molini e le barche, ed alzare fortini lungo la riva.

» Ma non fu che una parola, e ben tosto sopraggiunse il silenzio e la tristezza. Roma sarebbe salva, se a tanto avessero bastato l’abnegazione ed il coraggio de’ suoi difensori.

» I militi di Garibaldi, gli ultimi reduci dalle rovine della estrema difesa di san Pancrazio, davano l’ultimo addio a quei valenti borghigiani.

» Composto alla calma consueta, Garibaldi dall’alto delle mura di san Giovanni esaminava le linee nemiche; egli avea in quel momento decisa la partenza: era il 2 luglio.

» L’odio implacabile allo straniero per cui l’Italia nostra geme nella servitù e nella sciagura, la gallica mala fede troppo nota pei fatti del 3 giugno e pel seguito, ispirarono il disegno di abbandonare Roma a Garibaldi, e di aprirsi il passo in mezzo ai nemici, abborrendo di piegare il collo ai patti del vincitore, ed a qualunque