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questa rilassatezza, effetto in taluni d’infingardaggine, l’abuso delle vacanze, e la facilità dei permessi di assenza sotto mentito pretesto di salute, o per altri non plausibili motivi. In un secolo in cui tutto è vita ed il cui difetto è forse la troppa vitalità e celerità di movimenti, l’inerzia e la poltroneria presentavano un contrasto troppo forte con ciò che volevasi dalle moltitudini, e ne eccitava quindi i clamori. Da alcuni anni a questa parte però, dobbiam convenirne, una più rigorosa disciplina è venuta a porre un argine a questi riprovevoli inconvenienti.

Che direm poi delle grida ch’eccitava la banca romana per certe sue esclusività e predilezioni (fosser pure false o presunte) nel favorire piuttosto ricchi negozianti di cereali o incettatori di generi, che il piccolo commercio e la non abbastanza protetta industria patria? Noi non vogliamo unirci alle grida il più delle volte sconnesse delle moltitudini. Soltanto le citiamo perchè avendole udite ancor noi, sono argomento di storia, e perchè dobbiamo stimarle siccome una delle cause di clamori e di malcontento.

Nella enumerazione però delle cause che contribuirono ad alterare gli umori delle romane popolazioni non possiamo pretermettere la lettura di romanzi di scuola francese, la qualità degli spettacoli sia in ballo sia in musica, i drammi e le tragedie immorali che dieronsi e si danno tuttora sulle pubbliche scene.

Sappiamo pur troppo che lo scopo precipuo di chi prese a dirigere la educazione della presente e delle future generazioni fu quello di cambiare passioni, gusti, tendenze, allucinando la mente e corrompendo il cuore per venire così spianando la via e preparando gl’italiani alla trasformazione morale che meditavasi.

Ma fu sicuramente una imperdonabile trascuranza ed una strana cecità quella che invase tutti i governi, di permettere cioè e favoreggiare la recita sulle pubbliche scene