Pagina:Storia delle arti del disegno.djvu/171

Da Wikisource.

presso gli Egizj, i Fenici, e i Persi. 65

Vero condusse a Roma, e di cui trovasi fatta menzione in varie iscrizioni1.

§. 5. Belle certamente non erano le figure degli Egizj. Essi, secondo un’osservazione d’Aristotele2, aveano l’osso della gamba alquanto curvo, e piegato all’infuori3, e forse aveano il naso incavato come gli Etiopi4, coi quali confina-

Tom. I. I vano.

    tav. 77., era stato fondato da pochi Spartani ai tempi della guerra di Troja, concorrendovi probabilmente ad abitarlo gli Egiziani; poiché in appresso nei costumi, e nella religione da essi non si distinguevano gli abitanti di quella città. Nella famiglia di Trimalcione, al riferir di Petronio Satyr. pag. 96., v’erano de’ giovanetti alessandrini; ma v’erano eziandio etiopi, pag. 110. e pag. 264., Marziale l. 7. ep. 61. v. 2.; e fanciulle di Memfi, pag. 516.: al che se avesse badato il sig. Paw, non avrebbe anche egli francamente asserito, senza provarlo, Rech. philos. sur les Egypt. ec. sec. par. sect. IV. Tom. I. pag. 252., che i fanciulli, de’ quali parlano Stazio, e Marziale, che tanto si ricercavano dai Romani per la loro vivacità, non erano veri Egiziani; ma nati di qualche famiglia greca stabilita a Neucrati, o nei contorni della Mareotide.

  1. Capitolino in Vero, cap. 8. pag. 429., è quello, che racconta di Apolausto, che fosse dalla Siria condotto in Roma da Lucio Vero. Dice che il di lui nome era Memfi; poi fu detto Agrippa in Roma, e per sopra nome Apolausto. Con che fondamento asserisce Winkelmann, che fosse greco d’origine? Dal primo nome al più si potrebbe arguire, che non fosse nato nella Siria, ma nella città di Memfi; e tanto maggiormente ciò si potrebbe dire, se fosse quello stesso Memfi, di cui parla Ateneo lib. 1. cap. 17. pag. 20. C. come di vero egiziano nato in quella città. Sappiamo, che gli Egiziani, e gli Etiopi, per testimonianza di Luciano Saltar, § 18. 19. op. Tom. iI. pag. 278., volentieri ballavano; e in Roma ve ne era una gran parte, che facevano da istrioni, come osservano Kobierzyhio De Luxu Roman. lib. iI. cap. IV., Demstero ad Rosin. lib. iI. c. XIX. Secondo Ateneo loc. cit. le danze, che si facevano in Memfi, piacevano anche a Socrate. Una poi è l’iscrizione, che Casaubono nelle note al detto luogo di Capitolino, pretendeva spettare ad Apolausto; ma Salmasio nel luogo stesso ha fatto vedere, che vi si parla di altra persona.
  2. Probl. sect. 14. num.4. oper. Tom. IV. pag. 136.
  3. Pignorius Mensa Isiaca, p. 53ì. e segg. [ Questo scrittore prova non solo col passo di Aristotele, ma anche colle figure della Mensa Isiaca, che gli Egizj avessero le ginocchia alquanto piegate in dentro, e le gambe, e piedi storte in fuori, o divergenti. Un tal difetto noi lo veggiamo negli Etiopi anche a' dì nostri, ed è stato ad evidenza rilevato dall’antico scultore di una statua del museo Pio-Clementino in marmo bianco, dell’altezza di 4. palmi e mezzo, non compresa la base, che è di cinqu’oncie, tutta nuda, rappresentante appunto un servo giovanetto di quella nazione. Viene più chiaramente espresso da Petronio, fra gli antichi autori, ove nel Satyr. pag. 365. descrive la forma degli Etiopi, de' quali parla egualmente Aristotele: Numquid a labra possumus tumore teterrimo implere? numquid & crines calamistro convertere? numquid & frontem cicatricibus scindere? numquid & crura IN ORBEM PANDERE? numquid & talos ad terram deducere? Del medesimo parlano probabilmente anche Virgilio, o Settimio Sereno, o altri, che sia l’autore del Moretum, nei versi, che riporteremo qui appresso; Luciano Navig. i. z. Tom. iiI. pag. 246. scrivendo di un giovanetto egiziano, che non poteva esser bello, perchè tra gli altri difetti, era arche di gambe troppo sottili: λεπτὀς ἄγαν τοῖν σκελοῖν tenuis nimis cruribus; ed Achille Tazio parlando di quei ladroni, de’ quali abbiamo fatta menzione sopra nella pag. 47. nota b. De Clitoph. & Leucipp. amorib. lib. iiI. pag. 81. e pag. 70. ediz. dei 1606., ove dice, che erano λεπτοὶ τοὺς πόδας exilibus pedibus, o come ivi si traduce: parvis pedibus. Potrebbe congetturarsi che di esso intenda anche Giovenale, parlando appunto di Egiziani, nella Satyra. 15 v. 47:

    Adde quod & facili s Victoria de madidis, &
    BÆSIS, atque mero titubantibus.

    Ma non è qui luogo da trattenersi a verificare una tal congettura. Ho portato tutte queste autorità per provare simile difetto negli Egiziani; perchè il sigpo Paw Rech. philos. sur les Egypt. & les Chin. Tom. 1. lib. I. sect. I. pag. 58. not. k. scrive di non aver potuto trovare chi confermane il racconto d’Aristotele.

  4. Vegg. Bochart Hieroz. par. I. l. 3. c. 27.