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ra; anzi era sempre lo scopo loro principale a cui l'espressione doveva in qualche modo servire; né, perchè da questa venisse alquanto alterata la beltà d’una figura, lasciar dovea di chiamarsi bella, come non lascia di chiamarsi vino anche quello, in cui molta parte d’acqua è frammista. Ha pur luogo in ciò la gran massima d’Empedocle, secondo cui le cose sussistono nello stato attuale per l’affinità e pel contrasto, cioè per l’azione vicendevole ed opposta, che le une hanno reciprocamente sulle altre. La beltà, senza l’espressione, insignificante sarebbe, e l’espressione senza la beltà sarebbe spiacevole; ma influendo l’una sull’altra, e combinando insieme le loro qualità che sembrano distruggersi a vicenda, ne risulta una parlante, persuasiva, ed attraente bellezza.

[Cercavano la compostezza negli atteggiamenti...] §. 4. Il riposo e la tranquillità denno considerarsi come un effetto di quella compostezza che i Greci studiavansi di mostrare nell’azione e ne’ gesti. Presso di loro un passeggiar affrettato teneasi in certo modo come contrario all’idea d’un modesto contegno, e vi trovavano un non so che di arditezza soverchia. Tal viziosa abitudine rinfaccia a Nicobulo Demostene, il quale unisce insieme, come due cose del pari riprensibili, il parlare ardito e l’andar frettolofo1. Così per l’opposto i lenti e gravi movimenti del corpo indizio erano presso gli antichi d’un’anima grande2. Reputo quasi inutile di qui osservare, che la vera compostezza è ben diversa da quella fervile violenza, espressa su alcune statue di re prigionieri che le mani tengono come avvinte una sull’altra3. In tal positura, che della più vile suggezione era indizio, faceano la guardia a Tigrane re d’Armenia quattro re suoi vassalli4.


§. 5. Tal


  1. Demost. Adv. Pantænet. pag. 995. princ., Confer Casaub. ad Theophr. Char. cap. 8. pag. 198.
  2. Arist. Eth. ad Nic, lib. 4. cap. 8. in fine, oper. Tom. iiI.
  3. Vedi la Tav. XV.
  4. Plutarc. Lucull. oper. Tom. I. p. 505. C.