Pagina:Storia delle arti del disegno II.djvu/43

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presso i Greci, e loro Pittura. 37

è artifiziale; poiché essendo stati tutti que’ monumenti trovati rotti e in pezzi, fu necessario unirli insieme e saldarli coll’ajuto del fuoco, che distrusse l’antica patina, onde vi fu data la nuova; osservandosi generalmente che, quanto ha un più bel verde la patina, tanto più antico è il lavoro; colla qual massima gli antichi preferir solevano le antiche statue alle moderne.

[Indoravasi il bronzo.]

§. 11. Molte statue di bronzo sono state indorate, come dimostra l’oro stesso, che ancora si scorge nella statua equestre di M. Aurelio1, negli avanzi della quadriga che stava nel teatro d’Ercolano2, nei quattro cavalli di Venezia, e nell’Ercole del Campidoglio34. Che l’indoratura siasi conservata in lavori rimasti per molti secoli sotterra, attribuirsi deve alla grossezza delle foglie d’oro, che gli antichi non usavano tirare a tanta sottigliezza, come facciam noi5; e Buonarruoti ne ha fatta vedere la differenza6. Quindi è che sì belle e sì fresche sono le indorature di due camere nelle


rui-


    copriva di verde rame, o patina, come notò Cicerone Tuscul. quæst. lib. 4. cap. 14. Vedasi anche Plutarco Cur nunc Pythia non reddat orac. carm. princ., op. Tom. iI. p. 395., ove cerca la ragione per cui questo metallo prendesse la patina. Plinio lib. 34. c. 11. sect. 26. riferisce varie maniere di fare artificiosamente il verde rame; ma non dice, che si adoprasse a colorirne i lavori dell’arte.

  1. Scipione Metello di quelle statue equestri indorate, ne collocò una turma in Campidoglio. Cicerone ad Attic. i. 6. ep. 1. Vedi qui appresso cap. IV. §. penult.
  2. Di questa quadriga, e delle varie vicende a cui fu soggetta, parla a lungo l’Autore nella lettera, che nel 1762. scrisse al conte di Brühl sulle scoperte d’Ercolano pag. 23. & seqg. Ivi pure ragiona di tutti quali quegli altri monumenti Ercolanensi che nell’Opera presente ha egli non di rado indicati. [Vedi anche le lettere dello stesso Autore, che daremo nel Tomo iiI. di questa edizione romana; e Tom. I. pag. 389. not. a.
  3. Maffei Racc. di Statue ant. Tav. 20.
  4. In Velleja (città tra Piacenza e Parma che fu coperta da un monte, probabilmente nel secondo secolo, e fu a caso scoperta e sgombrata in parte non sono molti anni) furono disotterrati varj bronzi e trafportati poi a Parma. Tra questi vedesi una testa colossale dell’imperadore Adriano di rame dorato, alta 13. pollici, che appartenne ad una statua, di cui s’è pur trovata una mano, un piede, e parte del paludamento.
  5. Sapevano tirarle sottilissime, come attesta Plinio lib. 33. cap. 6. sect. 32.; ma non ne facevano uso, perchè l’argento vivo, che si adoprava per dorare, come si dice qui appresso, faceva comparire l’oro di un color pallido; perciò adopravano grosse foglie, a le raddoppiavano. Gli indoratori, che volevano rubare, come siegue a dir Plinio, trovarono l’arte di correggere questo difetto, usando la chiara d’uovo, o l’idrargiro (che male in qualche lessico si traduce per argento vivo) invece dell’argento vivo. Plin. l. cit. cap. 8. sect. 41. La vera maniera dunque, e più ricevuta, come più grandiosa, e più durevole, era coll’argento vivo, e foglie d’oro grosse: Æs inaurari argento vivo legitimum erat, l. c. c. 3. sect. 20.; o come scrive Vitruvio lib. 7. cap. 8.: Neque argentum, neque æs fine eo potest recte inaurari.
  6. Osserv. istor. sopra alc. med. Tav. 30. pag. 370. e 371.