Pagina:Storia delle arti del disegno III.djvu/282

Da Wikisource.
264 L e t t e r e

spondere alle sue ragioni, gli domandai, in che modo credesse egli, che gli antichi scultori dessero l’ultima mano alle loro statue? Probabilmente, replicò, era il loro metodo quello, che vien praticato da noi, cioè di dar loro l’ultima pulitura colla pomice, allegandomi l’Antinoo, o a mio credere il Meleagro di Belvedere1. Questo gli tirai di bocca per confonderlo meglio. Gli risposi" dunque circa alla sua prima ragione, che gli scultori antichi fecero opere gradinate, il che si vede chiaramente allo zoccolo, o sia base del Laocoonte; e che usavano gradini, ma composti di più ferri uniti con una tenitura, il quale strumento si vede al monumento sepolcrale di Apro capomastro scarpellino, e architetto, nel Campidoglio2. Per ciò, che spetta alla seconda ragione, di cui lo scultore molto s’applaudì, gli accordai, che il lume accennato negli occhi non si trova per verità, che in poche statue divine, o ideali, ma non in nessuna. E’ da sapersi, che tali occhi sono un raffinamento metto in uso più comunemente nel tempo dell’arte già declinata, e divenuto poi universale sotto Adriano, come si vede ne’ busti degl’imperatori. L’unica testa, non ideale, a


Ro-


  1. Vedi Tom. iI. pag. 141. n. a.
  2. Fu quello trovato sul Gianicolo, ed indi trasferito agli orti Vaticani, dai quali per ordine del gran Benedetto XIV. passò al museo Capitolino. Vien riferito da Grutero Tom. iI. pag. 624. num. 1., e dal P. Montfaucon Antiq. explic. Tom. iiI. par. 2. liv. 5. chap. 1. pl. 189. pag. 342. L’illustrarono poi monsig. Michele Mercati nelle sue Considerazioni sopra gli avvenimenti del signor Latino Latini, ec. consid. 5. pag. 68., ed il Padre Diego Revillas nella sua Dissertazione sul piede antico romano, che è la IV. del Tomo iiI. degli Atti dell’Accademia di Cortona, pag. 116. [ Si può vedere anche presso il canonico Guasco Antiq. inscript. mus. Capitol. Tom. iI. cap. 4. n. 143. pag. 6., e il canonico Foggini Mus. Capit. Tom. IV. Tav. 9. pag. 25., che diffusamente lo illustra. Apro non era né capomastro scarpellino, né architetto. Era un semplice misuratore di fabbriche. Di tali misuratori parlano molte iscrizioni presso Muratori Tom. iI. pag. 924. n. 8., pag. 960. n. 3., Reinesio cl. 9. pag. 83. n. 85., Sponio Miscell. erud. antiq. sect. 6. pag. 225. n. 1. 2., Donio cl. 8. p. 335. n. 86. Dell’impiego ne parla Plinio il giovane lib. 10. epist. 28., e le leggi romane nelle Pandette lib. 11. tit. 6. Si mensor falsum modum dixerit, ove Ulpiano nella legge ultima lo distingue dall’architetto, parlandone come di persona diversa. E che fossero divelli ufsizj, come lo sono anche al presente per regola, ci si conferma dall’aver quelli misuratori formato anticamente un collegio, indicato in due iscrizioni presso Grutero Tom. iI. p. 599. n. 1.. p. 623. n. 6., e non avvertito dallo Scaligero nel suo indice di questa raccolta, ove parla dei collegi Vi era anche il misuratore degli edifizj pubblici, di uno de’ quali si parla in una lapida presso Gudio Inscr. pag. 220. n. 5., e di un altro si ha memoria in una lapida riferita dal P. Volpi Latium vetus prof. Tom. VIII. lib. 15. cap. 5. pag. 293., ove si dice agrimensor ædificiorum pubicorum: agrimensore degli edifizj pubblici.