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sull’Architettura degli Antichi. 73

almeno, che lunghissimi corridori, o gallerie, metà (otterrà, dette cryptoporticus, e lunghe anche più di cento passi non ricevevano altro lume, che dagli estremi con una specie di feritura, per cui il lume cadeva dall’alto. E’ stato posto al di fuori avanti queste aperture un pezzo di marmo con varie feriture, per le quali passa ora la luce. In una di queste gallerie1 ben poco illuminata si tratteneva, stando in casa sua, M. Livio Druso; e vi riceveva, come tribuno, il popolo romano, e decideva le loro controverse. Quelle della villa Laurentina di Plinio2 aveano finestre da ambidue i lati. La mollezza dei Romani al tempo degl’imperatori era divenuta sì grande, che, durante la guerra, si formavano di quelle gallerie sotterranee nei campi; il che poi vietò l’imperator Adriano3.

§. 67. Nei bagni, come anche negli appartamenti, le finestre erano tutte collocate assai alte4, come lo sono ne-

Tom. III. K gli


    Rom. Sallengre, Tom. t. col. 919., dal Padre Minutolo Dissert. 4. de Dom. sect. 2. loc. cit. col. 92., e da altri scrittori ivi citati. Sebbene io non nego assolutamente, che siansi fatte di qualcuno le finestre anguste; avendoli da Cicerone ad Attic. lib. 2. epist. 3., che l’architetto Ciro così le facesse. Era forse costui addetto alla setta de’ filosofi Accademici, i quali credeano, che la visione si faccia mediante l’emissione dei raggi visuali dagli occhi di chi vede; e che questi raggi tanto più vadano raccolti, e meglio diretti sull’oggetto, quanto più poca e moderata è la luce, che lo investe: all’opposto di ciò, che sostenevano gli Epicurei, i quali facendo uscire le specie dagli oggetti, credevano, che tanto meglio elle giungano all’occhio, quanto più le finestre sono spaziose, e danno libero passaggio alla luce. Vedi Giorgio Greenio De villar. antiq. struct. cap. 5., e Lambino al luogo citato di Cicerone.

  1. Appian. De bell. civil. lib. 1. pag. 372. in fine. Confer Supplem. Livii, lib. 71. cap. 33.
  2. lib. 2. epist. 17.
  3. Spart. in Adriano, pag. 5. D. Confer Casaub. ad h. l. pag. 20. D.
  4. Per meglio spiegarci, diremo, che qualche parte dei bagni avente le finestre in quel modo, come il labro, secondo Vitruvio l. 5. cap. 11., e qualche altra camera. Per altre parti farà stato diverso. Seneca Epist. 86. parlando del bagno di Scipione Africano maggiore a Literno, dice che era molto oscuro all’uso dei bagni antichi, e che prendeva lume da alcune feriture, anziché da finestre; all’opposto dell’uso de’ suoi tempi, che era di farli illuminatissimi con grandissime finestre, per le quali tutto il giorno vi entrasse il sole, e stando a sedere nel bagno si vedesse il mare, e la campagna: in hoc balneo Scipionis minima, sunt rimæ, magis, quam fenestræ, muro lapideo exsecta, ut sine injuria munimenti lumen admitterent. At nunc blattaria vocant balnea, si qua non ita optata sunt, ut totius diei solem fenestris amplissimis recipiant; nisi & lavantur simul, & colorantur; nisi ex solio agros, & maria prospiciunt: col quale discorso fa vedere Seneca, che neppur si attendesse il precetto di Vitruvio. Tale forse era il bagno di Claudio Etrusco, di cui parlai qui avanti; e il bagno di Faustina, che si nominerà qui appresso pag. 76., il quale aveva le finestre grandi a legno. che da terra andavano quali al soffitto. Nelle terme di Diocleziano, e in qualche altra è stata osservata la regola di Vitruvio, e possono vedersene le figure presso Cameron Description des